Coronavirus eLearning

Franco Di Giorgi

Coronavirus eLearning

La lezione del Coronavirus

Tra le difficili misure adottate in questi giorni febbrili dal governo italiano per evitare e contenere la diffusione del Coronavirus c’è quella della didattica a distanza.

Si tratta di un rimedio emergenziale che certo mette in crisi il già claudicante sistema scolastico e che pertanto “dovrebbe” essere solo di breve durata.

Nel diuturno aggiornamento garantito dai media, durante il nostro isolamento domiciliare, una tale misura ci fa pensare che è già da diversi anni che il ministero dell’istruzione prende in considerazione l’e-learning, cioè, appunto, il metodo della didattica a distanza.

Coronavirus

Solo che, a fronte di quel sistema farraginoso, una tale possibilità non poteva apparire che remota.

Grazie però al Covid-19, facendo di necessità virtù, direbbe il buon Manzoni, si ha modo di metterla in atto. Sfruttando le nuove tecnologie, ciò potrebbe avere i suoi immediati vantaggi per lo Stato, almeno economici.

Esso potrebbe infatti risparmiare non poco potendo ridurre sensibilmente le spese nel comparto scuola, a partire dapprima da un “giustificato” taglio agli stipendi degli insegnanti e poi, con una graduale riduzione, degli insegnanti medesimi, visto che ora basterebbe un solo docente per ogni disciplina, il quale dalla sua unica postazione, dalla sua comoda piattaforma casalinga, potrebbe impartire le sue lezioni a centinaia di utenti-scuola.

Ciò conviene sia allo Stato centrale sia alle regioni, dal momento che con questo risparmio potranno affrontare la necessaria spesa per la sanità e per le tanto necessarie quanto impreviste assunzioni di medici e infermieri.

Si dissolverebbe così nel nulla, grazie a quel batterio, il mito della lezione frontale.

E in effetti, a cosa potrebbe mai servire ancora un insegnante in carne ed ossa se la rete è in possesso di una memoria e di un sapere mille volte superiore al suo?

Siamo quindi a una svolta radicale nel campo dell’istruzione?

È possibile; e se si considera la recessione economica che quel virus può comportare sul piano internazionale, anche auspicabile.

«Niente ansia. Uniti ce la faremo» ci è stato poi detto.

Giusto. Ma come praticare questa esortazione se la triste realtà ci costringe intanto alla disunità, ci intima di mantenerci a debita distanza?

E ciò proprio quando nel frattempo masse di esseri umani, di profughi, di innocenti vengono usate sordidamente come armi biologiche e di ricatto nella incessante lotta fra gli Stati.

Pare esaurito, dunque, il tempo della globalizzazione e dell’abbraccio globale: il Coronavirus ci dice a chiare lettere che quel progetto, realizzato in quel modo, era “innaturale” e che non poteva avere vita lunga.

E ciò vale anche per l’Unione europea. In questo tempo in cui le emergenze umanitarie e naturali anziché risolversi si sommano e si moltiplicano, anche la fraternità è pertanto costretta a virtualizzarsi.

Compresa, purtroppo, anche quella candidamente manifestata dalle Sardine.

Se non si trova il nuovo vaccino, il nuovo antivirus, tutte le idee di fratellanza culturale e di vicinanza fra i popoli sono destinate a svuotarsi.

Vorrà dire allora che si è lavorato per nulla, che tutto è stato vano, inutile?

Può darsi.

Non potrà in ogni caso esserlo per quella casa farmaceutica, per quella multinazionale che entrerà in possesso del tanto agognato antidoto, da cui potrà ottenere verosimilmente utili ragguardevoli.

Quegli stessi che i signori del mondo riescono ad accaparrarsi con le guerre.

Perché di questo si tratta con questo nuovo bacillo influenzale, con questo nuovo nemico invisibile, di una vera e propria guerra.

Ci ricordiamo dei cento milioni morti che aveva causato in tutto il mondo la “spagnola”, la pandemia che, esattamente un secolo fa, aggredì il pianeta dopo la fine della prima guerra mondiale?

E due secoli fa, la tisi, sempre con le goccioline di saliva, non ne fece forse altrettanti?

Vogliamo poi parlare della peste del Seicento e del Trecento?

Il discorso ci porterebbe lontano, all’origine dell’umano e della vita stessa sulla Terra.

A causa di questo microscopico parassita, dunque, di un batterio che oltre che nella sanità e nella vita ci accomuna e ci rende partecipi di tutto il vivente anche nella malattia e nella morte, si ritorna alla solitudine, all’ideale del monachus, alla sobrietà e alla vita solitaria del medioevo, a forme di esistenza tanto decantate da artisti e poeti, a una vita fatta di polvere e di cenere, di indumenti madidi e fetidi gettati nelle pire e affidati alle fiamme purificatrici.

Tanto ormai la postmodernità ci aveva quasi abituati alla rifeudalizzazione sociale.

E con essa anche alla monadizzazione, all’esistenza da monadi, da individui con porte e finestre ben sprangate. Finita quindi – almeno per il momento – l’idea dello zoon politikon e dell’agorà.

Da anni, infatti, i politologi ci ripetono che l’elemento politikos, che è alla base dei legami sociali, si è dissolto e la stessa politica si è perduta; resiste tuttavia da par suo lo zoccolo duro dello zoon, dell’animale.

Ci attendono, sembra, il midbar, il deserto, il deserto che avanza, e assieme ad esso anche le locuste, nostre compagne da sempre, sin dai tempi biblici.

Ma oggi che nel giro di poche ore ci si è spalancata la voragine del vuoto e del nulla sotto i piedi; ora che viene di nuovo messa in gioco la nostra vita, che la posta in gioco è tornata ad essere la vita biologicamente intesa, proprio quando molti, specie alcuni, credevano di avere avuto già tutto e di essere al riparo da ogni possibile tempesta sul mare nostrum, e che si illudevano di poter mirare dalla riva con una certa tranquillità l’altrui gravoso travaglio; ebbene in questi momenti che, senza alcuna vera umana ragione, scopriamo di essere noi stessi come quei tanti altri che solo fino a ieri consideravamo pattume e inutile merce di scarto, oggi, qui, in queste ore di solitudine, di reclusione forzata e di evitamento ritorna più vivo che mai, pur se in veste di solidarietà, l’umano, semplice e originario desiderio di continuare ad essere, di essere in salute, di avere una vita non tanto piena ma purchessia, il desiderio di Dio, la brama di salvezza, il tanto lodato quanto odiato ma certamente inestinguibile istinto di sopravvivenza.

E tuttavia oggi, come ci dicono a più voci i virologi, non abbiamo ancora raggiunto il “picco” dell’epidemia, la massima espansione del contagio, non siamo ancora in grado, come Renzo Tramaglino, di avvederci della varietà delle “erbacce” che popolavano la sua vigna.

Oggi, insomma, con la riduzione della nostra libertà e dei nostri slanci vitali, ci sembra di dover rinunciare a qualcosa che solo fino a ieri ci sembrava solo accessoria e che ora si rivela assolutamente vitale.

Ebbene sì, adesso «nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / nella miseria».

Sono le parole che nel celebre quinto Canto dell’Inferno (vv. 121-123)

Dante suggerisce a Francesca da Rimini, sono i versi che verranno ripresi nella storia da tutti coloro che, per diversi motivi, sono stati privati della libertà e della vita.

Ivrea, 8 marzo 2020

Coronavirus eLearning

 

Il Terribile

Ricordo del Terribile

Nella foto, a sinistra il presidente dell’ANPI di Ivrea Mario Beiletti, a destra il partigiano Riccardo Ravera Chion

LO SPIRITO PARTIGIANO DEL  “TERRIBILE”

di Franco Di Giorgi

Lo spirito partigiano del Terribile di Franco Di Giorgi

Quando il tempo si porta via persone come Riccardo Ravera Chion il vuoto che lascia è di tutt’altro genere di quello che ci si spalanca dentro quando perdiamo un parente o un genitore.

È un vuoto che non riguarda soltanto noi che l’abbiamo conosciuto e frequentato, ma anche, sebbene indirettamente, molti altri, se non tutti quanti gli Italiani.

Ebbi a dire la stessa cosa quando il turno toccò a due altri cari amici, prima Liana Millu nel 2005 e poi Cesare Pòlcari nel 2011.

Ma che cosa, almeno per me, li rendeva degli esseri speciali?

Non solo il fatto che sono stati dei partigiani e che, ognuno a modo loro, ha patito, resistito e lottato per la libertà di tutti noi e per la nostra Costituzione repubblicana e democratica.

No, non solo per questo, che è certo assai importante.

Ciò che li rendeva esseri straordinari era piuttosto il loro spirito partigiano che essi riuscivano ad esprimere attraverso le loro azioni e che sapevano trasmettere alle persone che li avvicinavano.

In che cosa consiste questo spirito partigiano?

Non certo nell’insulsa partigianeria. In essi a muoversi e ad attivarsi attraverso il corpo era tutta l’anima.

Ogni loro gesto era animato perché davvero sapeva di anima, aveva la forza infinita dell’anima, dinanzi alla cui manifestazione si restava sempre meravigliati e ci si chiedeva da dove mai attingessero tutta quella energia vitale, quella forza che invece mancava in noi.

Quando conobbi il partigiano Terribile, all’inizio del terzo millennio, mi sembrava indistruttibile, immortale e io stesso mi convinsi subito dentro di me che persone come lui non dovevano morire, non avrebbero mai dovuto essere dimenticate, perché in lui e attraverso lui si sprigionava quello spirito partigiano, quella grande anima che speravo anche altri potessero riscoprire dentro di loro.

Ecco perché, in quanto insegnante, mi impegnai a farlo conoscere agli studenti, a quanti più giovani possibile.

Ne nacque così nel 2004 un piccolo testo, A scuola di Resistenza, una raccolta di testimonianze che il Terribile assieme ad altri partigiani del Canavese hanno potuto rilasciare sia in classe, a scuola, al liceo scientifico “Gramsci” di Ivrea, sia a casa loro.

Qui, nelle loro abitazioni, che sapevano ancora di montagna, siamo andati a trovarli con gli studenti e ogni volta era una festa, perché dopo aver ascoltato i loro appassionati e appassionanti racconti, in cui il rischio e il pericolo si stemperavano tra i loro mezzi sorrisi, il tavolo si riempiva subito di cibi sobri e deliziosi.

Da allora, ogni anno la presenza dell’Anpi e del Terribile al liceo, non solo durante le celebrazioni della Giornata della Memoria e del 25 aprile, fu garantita e sostenuta da studenti e insegnanti.

Fu soprattutto sua e dell’allora suo amico Sarteur che, sempre in quell’anno, si decise, con la piena disponibilità di Mario Beiletti, di collocare una scultura nella nuova sede dell’Anpi di Chiaverano, un’opera che mia moglie aveva realizzato per esprimere la condanna contro ogni tipo di guerra.

L’anno dopo, a pochi giorni dalla scomparsa dell’amica Liana, per la Giornata della Memoria ci recammo assieme al Terribile a Genova, invitati in un liceo per parlare della signora Millu.

L’appuntamento a casa mia era per le sette, ma Riccardo mi disse che era lì già dalle sei e che nell’attesa si era fatto un giretto attorno al paese.

Durante il viaggio in macchina ci raccontò, con la passione che lo contraddistingueva, della sua seconda vita trascorsa in Africa, in Congo, e in tutte quelle vicende così avventurose e avvincenti si sprigionava sempre con intima gioia liberatoria il suo spirito partigiano.

Crebbe così nel tempo, grazie a questo spirito lampeggiante del partigiano Terribile – uno spirito oltremodo irruente che egli difficilmente riusciva a dominare, persino dinanzi ai discorsi di storici amici, spirito in ogni caso autenticamente socievole e socialista, accogliente, affettuoso e bonario proprio come quello della moglie Cecilia – crebbe così, insomma, grazie anche ad altri suoi compagni di lotta (ricordiamo fra gli altri Antonio Gianino, Marino Chiolino Rava, Giancarlo Benedetti, Amos Messori, Domenico Ariagno) la collaborazione tra l’Anpi di Ivrea e gli studenti, i quali si presentavano e partecipavano attivamente alle cerimonie e alle presentazioni del libro assieme a fratelli, genitori e nonni – in alcuni casi, questi, partigiani essi stessi: è il caso di Liano Brunero e della moglie Anita Baldioli.

Ciò per dire, in conclusione, che quella cooperazione con i giovani è essenziale e non secondaria, sostanziale e non solamente accessoria, perché ne va della stessa sopravvivenza della memoria dell’Anpi.

Giacché in questo consiste, a pensarci bene, il più volte evocato spirito partigiano del Terribile: nella sua estrema fiducia nella gioventù, nell’apertura alle nuove generazioni. Perché una cosa è certa: il futuro, qualsiasi futuro, il futuro di ogni cosa è nelle mani, nella mente e nel cuore dei giovani.

Ivrea, 27 febbraio 2020

Ciao Terribile

Morto questa notte il partigiano Riccardo Ravera Chion

Ci sono momenti in cui non vorresti dire nulla, fingere che non sia successo, e continuare a pensarlo sì lontano, in una sua dimensione privata, ma ancora presente ogni volta che scorri la storia dei Partigiani e ne riguardi le immagini e rievochi le azioni.

Eppure ti tocca, ancora una volta, dare un ultimo saluto ad un protagonista della Resistenza.

Terribile non ha bisogno d’essere raccontato, da quei suoi 14 anni che lo videro tornare da scuola e trovare la casa bruciata, i genitori arrestati, perché il fratello più grande già era fra i “banditi” che operavano sulla Serra.

Lui stesso, tanti anni dopo, amava definirsi in tal modo, con enfasi ed orgoglio, presentandosi alle scolaresche.

Quel ragazzino in lacrime che si presenta ad una zia, e lei gli offre un piatto di minestra, però lo allontana subito per non subire la stessa sorte.

E Riccardino vaga sulla montagna, finché rintraccia il fratello e diventa egli stesso Partigiano.

Perché venisse sin da subito chiamato col nome di battaglia “Terribile” è facile capirlo per chi lo abbia conosciuto. Irruente, coraggioso, uomo d’azione sin da quei giorni lontani, e per sempre.

Ciao TerribileMi è stato chiesto di parlare di lui…

Lo conobbi mentre stavamo lavorando alla Sede Anpi di Chiaverano.

Lui, spazientito per le mie rifiniture ad un pannello, diventò impetuoso, ma si trovò di fronte un’altrettanta decisa, seppur silenziosa, opposizione.

Come due gladiatori nell’arena, bastò uno sguardo, e fummo amici per sempre. Ci eravamo reciprocamente misurati, capiti, stimati.

Mancò il vecchio Presidente Silla Cervato, e Riccardo ne prese il posto. Fui il suo “segretario” per anni. Un tirocinio prezioso.

Terribile aveva la rara capacità, pur col suo carattere “fumantino”, di ascoltarti, trattarti alla pari, dialogare con profitto. L’Anpi iniziò a crescere, ad incontrare i giovani, le scolaresche. Fu il periodo dei “Totem” in Ivrea e dintorni, mentre purtroppo diminuiva il drappello dei Testimoni. Dopo Silla, l’ing. Benedetti, Timo, Defilippi, Liano, Olmo…

Quante veglie funebri… quante volte alzammo il gonfalone a porgere gli onori ad un Caduto…

Sempre lui intonava a gran voce il canto del Partigiano:

Là sulle cime nevose

una croce sta piantà.

Non vi son fiori né rose,

è la tomba di un soldà

L’è un partigian che il nemico uccise

l’è un partigian che tra il fuoco morì;

la mamma tua lontana

ti piange sconsolata

mentre una campana

in ciel prega per te.

E noi ti ricordiamo,

o partigiano che guardi di lassù,

mentre scendiamo al piano

ti salutiamo, caro compagno.

Non pianga più la mamma

il figlio suo perduto

sull’Alpe sconosciuto

un altro eroe sta là.

Vi vedo e penso ancora

nell’ora dei tramonti,

al sorger dell’aurora,

montagne del mio cuor.

Questo dolce ricordo

mi fa sognare, mi fa cantare

tutta la melodia

che riempie il cuor di nostalgia.

Vi vedo e penso ancora

nell’ora dei tramonti

al sorger dell’aurora

montagne del mio cuor.”

E poi c’erano i momenti belli, quelli dei ricordi di un ragazzino che si conquistò “l’arme in battaglia” come cantò Calvino, puntando il dito sulla schiena d’un milite fascista che passeggiava con la morosa al lago Sirio; la raffica che si prese al bivio di Grivalin, salvandosi a nuoto nel canale; i buffi tentativi di portare il carretto tirato da un mulo recalcitrante… e poi le sue avventure africane che raccontavano di un continente duro, di piroghe sul fiume, della sua “Cilia”, Cecilia, che lo invitava a cambiar discorso. E ciò avveniva nella sua casa circondata dal prato, all’ombra degli alberi, e lui accogliente come un re dell’antica Grecia che invitava generoso a banchetto. Pomeriggi d’estate in cui il vino scorreva: freisa, bonarda per mandar giù tome e salami…

Per quei sedici anni di differenza fu un fratello maggiore, ma ancor più un amico.

Tanti aneddoti ci sarebbero, se la stanchezza e la malinconia lo consentissero…

Ciao, Terribile, raggiungi anche tu la schiera degli Eroi che ti hanno preceduto. Ci avete dato libertà e democrazia.

Ti voglio salutare come avresti fatto tu, alzando il bicchiere di vino (quante volte lo hai rovesciato sulla tovaglia mentre ti sbracciavi a salutar qualcuno!) Alzo a te il bicchiere come se non fosse successo nulla, e tu fossi ancora dritto e potente e forte come un tempo, e fossimo nel tuo giardino.

È un bel 25 Aprile, una radiosa giornata primaverile: “Che non sia mai l’ultima!

Mario Beiletti

(Presidente dell’Anpi di Ivrea

e del Basso Canavese)

23 febbraio 2020

Lettura Luxemburg

Conferenza lettura su Rosa Luxemburg

Lettera dal carcere alla signorina Jacob

Oggi ho fatto una passeggiata, al sole, e sto un po’ meglio.

Ieri ero pronta a lasciare in un sol botto questa maledetta politica,

o meglio questa cruenta parodia della vita politica che conduciamo e, a mandare a quel paese il mondo intero.

Una specie di idiota culto di Baal e niente altro in cui si sacrificano intere vite umane alla propria frenesia al proprio muco intellettuale.

Se credessi in dio sarei certa che ci castigherebbe severamente.

La mia tomba, come la mia vita, non recherà tracce di frasi altisonanti.

Sulla mia lapide voglio che si leggano solo due sillabe: Zvi-zvi.

Dalmasso e CampanileÈ il richiamo delle cinciallegre che so imitare tanto bene da farle accorrere subito.

Pensi, da qualche giorno – in questo zvi-zvi – che di solito scintilla chiaro e acuto nell’aria come un ago d’acciaio, c’è un minuscolo trillo, una piccolissima nota di petto.

E, sa – signorina Jacob – cosa significa questo?

È il primo lieve trasalire della primavera imminente, nonostante la neve, il gelo e la solitudine; noi – le cinciallegre e io – crediamo la primavera in arrivo e, se per troppa impazienza non la dovessi vivere, non dimentichi che sulla mia lapide non deve esserci altro che zvi-zvi.

Abbraccio Lei e Mimì, con una terribile nostalgia.

Rosa Luxemburg

***

Presentazione presso il circolo Arci di Cogoleto del libro di Sergio Dalmasso “Una donna chiamata rivoluzione”, dedicato alla vita e alle opere di Rosa Luxemburg.

La presentazione con l’autore del libro Sergio Dalmasso (15 febbraio 2020) è stata arricchita dalla lettura, da parte dell’attrice Cristina Campanile, di alcuni brani estratti dalle lettere della protagonista del libro: Rosa Luxemburg.

Videoriprese a cura di Cristopher Garaventa.

Sergio Dalmasso e Cristina Campanile

Sala Arci Cogoleto con Dalmasso e Cristina Campanile

Gastropopulismo

Salvini il gastropopulista coi prosciutti

Gastropopulismo

L’Italia al tempo del gastropopulismo

09-02-2020 – di: Franco Di Giorgi

Diverse sono le dimensioni che entrano in gioco nel «dispositivo populista» relativamente ai «processi di formazione del consenso», scrive Marco Revelli nel suo bel libro, nato da un colloquio con Luca Telese, Turbopopulismo.

Turbopopulismo di Marco Revelli e Luca Telese

La rivolta dei margini e le nuove sfide democratiche (Solferino-Corriere della Sera, Milano 2019).

Due gli sembrano «assolutamente centrali», quella linguistica e quella alimentare.

Si tratta di dimensioni, precisa, che più che alle scienze politiche pertengono «al campo dell’antropologia, o della simbolica del profondo» (p. 127), ai cui fenomeni egli si avvicina con il piglio e con la passione dell’entomologo.

Queste due dimensioni non sono scollegate, ma interdipendenti, poiché il «gastropopulismo», che da esse si sviluppa (così Revelli definisce il populismo salviniano), non nasce solo dalla semplice «messa in scena del cibo» (p. 121), ma dalla precisa scelta di dare voce alla lingua delle viscere e di istituire così un linguaggio viscerale.

L’unico dialogo che il gastropopulismo potrà pertanto consentire non è con la mente, che viene semplicemente bypassata, ma con la pancia.

Infatti, quando il medium comunicativo tra gli individui sono le viscere, allora non si pone più la difficoltà della riflessione, ma la semplicità del riflesso condizionato pavloviano.

Non c’è più né spazio né tempo per il dubbio critico, ma solo quanto basta per la reazione istintiva.

Non si dà più la lungaggine del pensiero, ma la subitaneità dell’azione pura.

Non l’uomo razionale, ma l’animale impulsivo.

Non la pietà, ma l’empietà.

Non l’umano, ma il disumano.

Ciò significa che la lingua del populismo, ossia della narrazione politica che fa leva sull’istinto, non può che essere viscerale, cioè duale (fame/non fame, buono/non buono), proprio come il linguaggio binario dei computer a base due (0/1).

Questo, ovviamente, non vuol certo dire che il sistema binario sia semplice come la logica populista, ma che questa si struttura sull’apparente semplicità di quel sistema.

Articolo completo su: volerelaluna

La politica puntoacapo

Franco Di Giorgi

Benigni Sanremo

Benigni Sanremo

PRENDI E LEGGI IL CANTICO DEI CANTICI

Sorprendente e interessante la reazione finale che il pubblico del teatro Ariston di Sanremo ha riservato all’encomio dello shir hashirim, del Cantico dei Cantici che Roberto Benigni ha voluto così benevolmente porgere a tutti gli spettatori del 70° festival della canzone italiana. Perplesse, spiazzate e incredule nell’apprendere da quell’appassionato profluvio di parole che il desiderio amoroso è un sentimento umano che trova stranamente posto in uno shir, in un canto, in un testo poetico (databile tra il VI e il IV secolo a.C.) che gli antichi hanno voluto collocare nel cuore stesso della Bibbia, del libro dei libri, tra il Qohèlet e la Sapienza, ebbene quelle persone, prese da un certo turbamento, sono rimaste inchiodate alle loro comode poltrone, in platea e in galleria, rifiutando quella standing ovation che perlopiù esse riservano ad interpreti che intonano canti dei quali forse non sanno che hanno una delle loro radici proprio in quel cantico biblico. Qui, infatti, si possono rintracciare alcuni di quei paradigmi erotico-letterari presenti anche nella cultura greco-classica e poi in quella ellenistico-alessandrina, archetipi amorosi che dalla poesia trobadorica (il cui tema principale era appunto l’amore), attraverso Dante e Guinizzelli, passeranno al dolce stil novo, e da qui al petrarchismo, al marinismo, al romanticismo, al decadentismo e al modernismo. Eccone alcuni esempi:

«Come sei bella, amica mia, come sei bella! I tuoi occhi sono colombe» (Ct 1, 15).

«Come un giglio tra i cardi, così la mia amata tra le fanciulle» (Ct 2, 2).

«Sostenetemi con focacce d’uva passa, rinfrancatemi con pomi, perché io sono malata d’amore (ki-cholat ’ahavah ’ani» (Ct 2, 5).

«Che cos’è che sale dal deserto come una colonna di fumo…» (Ct, 3, 6).

«Come un nastro di porpora le tue labbra e la tua bocca è soffusa di grazia; come spicchio di melagrana la tua gota attraverso il tuo velo» (Ct 4, 3). La parola melagrana (rimòn), tra l’altro, anche al plurale (rimonim), ricorre per ben sei volte nel testo, per sottolineare la trasparente bellezza e il sublime valore simbolico di questo frutto.

«Vieni con me dal Libano, o sposa, con me dal Libano, vieni!» (Ct 4, 8).

«Tu mi hai rapito il cuore con uno sguardo, con una perla sola della tua collana» (Ct 4, 9).

«Io dormo, ma il mio cuore veglia» (Ct, 5, 2).

«Volgiti, volgiti, Sulammita, volgiti, volgiti: vogliamo ammirarti» (Ct 7, 1).

« Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio; perché forte come la morte è l’amore» (‘azah khamavet ’ahavah, Ct 8, 6). Cioè: l’appartenenza alla morte è simile all’appartenenza all’amore; perché appartenere alla morte è la stessa cosa che appartenere all’amore. L’amore e la morte hanno la stessa forza d’appartenenza, la stessa origine, ricordava il grande Recanatese.

E in questi versi biblici, oltre che l’eco di poeti latini come Catullo e Ovidio, come non sentire anche quella di Dante e di Petrarca, di Novalis e di Goethe, di Leopardi, di Celan, persino quella del bel romanzo di Roberto Cotroneo, L’età perfetta?

Ma com’è possibile, sembrava chiedersi frastornata quella gente variopinta al termine dell’inattesa lettura di alcuni tra i versi più belli del Cantico dei Cantici, com’è possibile che versi di un così intenso e ardente desiderio amoroso siano contenuti nel testo biblico? In un libro che è riservato alle cose sacre, e in cui, presi dall’obbligo divino della moltiplicazione («Siate fecondi e moltiplicatevi», Gn 1, 28), per gli esseri umani non c’è né spazio né tempo per il sentimento? In cui, invece, davvero tanta è la sofferenza che essi debbono patire, anche solo per il semplice intervento illogico e disumano di Yahweh? Possibile che quel testo, che resta quasi sempre nascosto sugli scaffali polverosi delle nostre librerie, contenga quel tesoro, quel bene, quella luce, quell’amore, quel sentimento a noi ormai quasi del tutto ignoto?

Ebbene, nonostante il frastuono dei deboli e imbarazzati applausi, quella lettura di Benigni pareva discendere sugli astanti come uno spirito benefico che sussurrava leggiadro alle loro orecchie assordate: «tolle lege, tolle lege», «prendi, leggi; prendi, leggi».

8 febbraio 2020

cantico dei cantici

Cantico dei cantici Franco Di Giorgi e Roberto Benigni

Addio Piergiorgio Maggiorotti

 

Non passa un giorno senza una triste notizia. Mi scrivono da Torino della morte di Piergiorgio Maggiorotti. Piergiorgio è stato eletto consigliere regionale della allora DP nel 1990, come indipendente.

Da fine 1991, confluita DP in Rifondazione, era stato consigliere rifondarolo, sempre indipendente e con molte riserve sul processo di Rifondazione.

Disabile, attentissimo ai temi sociali era meno interessato ai temi ortodossi, tradizionali delle formazioni politiche della sinistra (nuova o tradizionale), ai loro linguaggi e riti.

Credo che i suoi interventi consiliari (forse sarebbe opportuno raccoglierli) testimonino queste scelte e questa formazione.

Addio Piergiorgio Maggiorotti

Ricordo ancora la visita,con lui, al carcere di Cuneo. Nel 1995 aveva terminato il mandato consiliare, continuando un impegno serio e documentato sui temi della disabilità, della salute.

Nei miei anni torinesi, lo avevo incontrato frequentemente. Avevamo presentato, scritte dalle lui e dalle associazioni che rappresentava, tre proposte di legge (2005) sul tema.

Neppure una è mai arrivata in aula.

Lo avevamo distaccato dal suo lavoro, alcune ore alla settimana, presso l’assessorato alla Sanità (assessore Mario Valpreda) perché occupasse della disabilità e fungesse da tramite tra assessorato e “partito”.

Era attivo, puntuale, competente, eccessivamente “timido” in questa politica di squali.

Ricordo un carattere dolce, una lettura sempre problematica delle cose, ben lontana dalle certezze assolute e dai personalismi, una grande idealità che, dalla sua condizione personale, trasferiva nell’impegno sociale.

È un altro pezzo della nostra piccola storia che se ne va.

Ho spesso l’impressione che la sconfitta collettiva e la fine di tante ricche storie personali siano legate fra loro.

Genova, 5 febbraio 2020

Sergio Dalmasso

Indifferenza e individualismo

 

L'Italia tra indifferenza e individualismo

indifferenza e individualismo

L’Italia tra indifferenza e individualismo

di Franco Di Giorgi

Articolo originale: L_Italia tra indifferenza e individualismo

Dalla minuziosa analisi di Franco Astengo delle recenti elezioni regionali risulta che, premiando più Fratelli d’Italia e meno la Lega Nord, soprattutto con il sorprendente calo del Movimento 5 stelle (nonostante la sua lotta per il reddito di cittadinanza, di cui molti italiani poveri hanno potuto usufruire), nell’elettorato, indipendentemente dalla vittoria di Bonaccini come candidato del PD in Emilia Romagna e della Santelli in Calabria come candidata di Forza Italia, si è evidenziata, grazie anche al voto disgiunto, la tendenza al bipolarismo, cioè a votare o a destra o a sinistra e non più tanto i partiti che non vogliono essere né di destra né di sinistra come appunto il M5s, o quelli di destra che cavalcano temi della sinistra, come la Lega.

In tal modo, per la famosa legge dei vasi comunicanti, riequilibrando il sistema in base alla posta in gioco nelle singole regioni, le preferenze ritornano alle loro appartenenze naturali: i voti precedentemente acquisiti dal M5s rifluiscono nel PD e quelli in precedenza conquistati dalla Lega ritornano parte in Forza Italia (in Calabria) e parte in Fratelli d’Italia (in Calabria e in Emilia Romagna).

Ciò premesso, se a due giorni dalla suddetta chiamata alle urne possono da un lato risultare comprensibili le dimissioni di Di Maio come responsabile del M5s, restano invece ancora tutte da capire o perlomeno da spiegare, dall’altro lato, le ragioni dell’affermazione al sud di un partito a naturale vocazione nordista come la Lega Nord, pur nella chiara consapevolezza che la partita per il centro-sinistra non si è affatto conclusa con la conquista dell’Emilia Romagna, giacché ora, o da qui a qualche mese, la posta in gioco si sposterà in altre regioni, soprattutto in Campania.

A tal proposito ancora più importante diventerà il movimento delle Sardine, le quali hanno infatti già dichiarato che orienteranno la loro azione coinvolgente e aggregante verso quella regione, con epicentro a Scampia.

Con questo nuovo riassestamento delle forze politiche a livello regionale, specie dopo il già ricordato risultato deludente dei Pentastellati, non potrà non risentirne anche l’equilibrio interno alla stessa compagine governativa, e quindi, di riflesso, anche l’intero paese.

Giacché proprio ora, nonostante questo parziale sommovimento politico, l’alleanza PD-M5s, sebbene differenti siano per il momento i loro giudizi in generale sull’Europa, deve tuttavia continuare a dare prova di serietà e di responsabilità con quel duro e difficile lavoro che si è impegnata a svolgere per salvare il paese non da una destra liberale e moderata, ma da una destra razzista e da un sovranismo rovinoso.

Certo, l’Italia non è il solo paese europeo a dover affrontare una tale compito, ma è forse uno dei pochi che deve farlo mentre tenta contemporaneamente di superare la crisi economica e mentre è alla ricerca continua di un sistema elettorale ad esso più confacente.

Ne viene fuori, insomma, un paese senza basi economico-politiche stabili e per di più in continua campagna elettorale. Un paese soprattutto senza idee e senza un programma organico per il futuro.

Certamente, a causa dell’ennesima crisi economico-finanziaria generata dal sistema capitalistico, di una crisi che si inanella attraverso guerre opportune con il selvaggio sfruttamento delle risorse e quindi dell’ambiente, nonché con il conseguente fenomeno migratorio, si creano le condizioni di una perfetta tempesta cosmica, per salvarsi dalla quale ogni essere vivente, ammesso che riesca a sopravvivere alle fiamme e alle inondazioni, oppure alle nuove malattie, alla povertà e alla miseria, è costretto a ricorrere al bellum omnium contra omnes, alla guerra di tutti contro tutti, all’homo homini lupus, che sono poi le massime che ritroviamo a fondamento del pensiero delle destre e delle politiche antisocialiste o neoliberiste.

Questo è il tipo di tempesta che esse cercano in tutti i modi di generare o almeno di in-generare, cioè di rappresentare e di offrire attraverso i media alla percezione condizionabile degli individui.

Infatti, malgrado un tale pericolo non si dia che nella percezione, diventa necessario per le destre ridurre il cittadino da essere sociale e politico a individuo isolato, ossia a-sociale e a-politico, in modo tale che esso possa così esperire con timore e tremore tutto il suo isola-mento e quindi tutta la sua debolezza e “prendere per vero” quello che non lo è.

Ma un tale individualismo non può realizzarsi pienamente se non quando diventa sistemico, cioè quando viene reso un fenomeno ideologico, un elemento culturale se non addirittura antropologico, quando viene fatto rientrare capillarmente nel sistema sociale, come status, come mo-dello relazionale indispensabile per il funzionamento di tale sistema.

Allorché, insomma, diventa istintivo e normale che ognuno competa e lotti solo per sé come un lupo, quando per la propria autoconservazione si è disposti a sopraffare gli altri, ecco che allora questo model-lo raggiunge la sua forma civilmente e politicamente accettabile, la quale ha però la sua forma ideale nel “sistema Lager”.

Traslato sul piano nazionale, questo individualismo ha il suo corrispettivo nell’attuale sovranismo o nel neo-nazionalismo, mentre sul piano sociale lo ha nei luoghi sempre più ristretti ed “esclusivi” che rappresentano, secondo il sociologo Alessandro Casiccia, segni di “esclusione” all’interno di società opulente e competitive, «luoghi di opulenza» o «cittadelle del privilegio», come ad esempio il modello Greenwich Village o il downtown, che marcano la loro differenza, la loro distanza dal Bronx, dalle periferie, dalle banlieue.

A ragione oggi, specie nelle ore che scorrono intensamente intorno alla Giornata della Memoria, si continua a ribadire che sia proprio questo individualismo esasperato ad essere alla base del “sistema Lager”, e che esso, questo egoismo, con la sua costitutiva indifferenza, rappresenti il modo più efficace per segnare in profondità le differenze e per evidenziare le discriminazioni. Proprio la senatrice Liliana Segre, questa preziosa testimone della nostra storia, ha sempre voluto evidenziare, e non solo di recente, la pericolosità insita nell’indifferenza.

E a questo riguardo non si può non ritornare sul fatto scandaloso che proprio ad essa, a una ex deportata di Auschwitz, l’Italia, unico paese al mondo, abbia dovuto assegnare una scorta. – Vergogna!

Pur condividendo appieno le ragioni per le quali viene evidenziata e chiamata in causa, la parola indifferenza ci sembra tuttavia troppo astratta, spirituale, culturale, lontana dal suo reale significato, perché si ha come l’impressione che in qualche modo essa ne copra o ne di-storca il senso originario, più materiale e certamente più crudo, che ritroviamo invece nell’individualismo, in quell’atteggiamento che, come abbiamo visto, discende direttamente dall’istinto di autoconservazione e che prelude alla brutale lotta di tutti contro tutti. In altre parole ci pare che l’indifferenza sia un termine che veli quel “meccanismo vittimario” che in La route antique des hommes pervers (1985) René Girard ha saputo cogliere così bene, un di-spositivo, anzi una predisposizione neurologica che purtroppo non si trova già solo nella testa di alcuni individui indifferenti e razzisti, ma in quella di tutti quanti gli uomini, nel cervello dell’anthropos, dell’homo sapiens, compresa quella dell’uomo inteso biblicamente come adamàh, come terra.

Più che opportuna a tal riguardo la scelta di Beppe Casales nel suo spettacolo Nazieuropa, quando si sforza di chiamare le cose con il loro nome, cioè facendo risalire, ad esempio, l’odio razziale non tanto a un portato culturale, quanto piuttosto a una matrice neurologica, dalla quale quel portato discende e si forma.

È proprio per questa inestirpabile radice malefica dell’individualismo, tra l’altro, per questa naturale inclinazione al male che Dio stesso, nel Genesi, ebbe addirittura a pentirsi della sua creatura, vedendosi costretto a disfarsene quasi totalmente e a cancellarne ogni traccia dalla faccia della terra, sperando alla fine nella fede di un solo uomo giusto, in Noè. Ad ogni modo, quel meccanismo di Girard si rimette istintivamente in moto ogni qual volta la storia propone e spinge con violenza sulla sua scena cangiante il bouc émissaire di turno (è il titolo di un’altra opera del 1982 dell’antropologo francese), un nuovo “capro espiatorio”.

In una pagina di Linguaggio e silenzio (1967) di George Steiner, inoltre, abbiamo trovato l’espressione “nodo odioso”, con la quale lo scrittore francese tenta di definire l’ineliminabile connaturalità di un siffatto meccanismo. Si tratta dello stesso “nodo” che angosciò Jaspers quando dovette parlare non solo e non tanto della colpa dei tedeschi, della Germania, ma anche dell’uomo in generale e della colpa metafisica; una colpa che emerse quando, a suo tempo, après coup, après le déluge, il mabul, si poté prendere coscienza del fatto che era stato proprio quel maledetto/benedetto meccanismo a far sì che il capro espiatorio di turno venisse sacrificato senza che nessuno prendesse le sue difese, anche a rischio di essere annientati con lui. Raul Hilberg inquadrava questi colpevoli indifferenti nella categoria dei Bystan-ders, degli “spettatori”.

E risiedeva probabilmente sul suo insistere proprio su un tale “nodo odioso” – visto come un nodo che, specie all’epoca del nazionalsocialismo, stringeva la gola, la mente e il cuore degli europei (nello stesso modo forse in cui nell’Esodo Yahweh stringeva il cuore del faraone) – il motivo che ha deciso nel 2002 l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Imre Kermesse, un altro ex deportato ungherese di Auschwitz e di Buchenwald. Il razzismo nazista, diceva infatti l’autore di Essere e destino (1975), è un prodotto della cultura e della storia dell’Europa.

E in fondo, in ultima analisi, quell’immensa e cupa vergogna che Primo Levi, costretto con molti altri a risiedere su quella soglia tra l’umano e il disumano che ben conosceva Paul Celan, al punto che non sapeva più Primo se questo era un uomo oppure no, ebbene questa tremenda vergogna che egli, per tutti noi, provò dinanzi all’“ultimo” oppositore che pendeva da una forca di Auschwitz («Kamaraden, ich bin der Letzte!»), questa vergogna forse sgorgava non solo da quel “nodo odioso”, ma anche dalla consapevolezza di un irrimediabile falli-mento dello Spirito sulla Materia, dal fatto cioè che proprio quella storia e quella cultura europea che nei secoli erano state sviluppate con il preciso scopo di sottomettere e dunque di educare l’individualismo e l’indifferentismo, alla fine non si erano dimostrate affatto all’altezza di quell’immane compito formativo, educativo, correttivo e pedagogico e che anzi, forse a loro insaputa, li avevano addirittura conservati, alimentati e rafforzati; esattamente come accade con un virus letale, che, nella sua inattesa recrudescenza, rialza la testa quando il corpo umano si indebolisce, geme e piega la schiena.

Torino, 31 gennaio 2020

Unità ovunque

 

Non so, ovviamente, come andranno le elezioni in EMILIA R. La altissima partecipazione e lo spirito da “ultima spiaggia” che si è creato potrebbe favorire il PD e paradossalmente favorire il risultato delle scorse regionali vinte da Bonaccini (allora votò il 37%, oggi si arriverà almeno all’80%).
1) La lista “L’ALTRA EMILIA ROMAGNA”, cinque anni fa, ottenne un buon 4%, con un eletto, nonostante l’ennesimo salto della quaglia di SEL, che, con noi alle europee (l’altra Europa, al 4,03%), fu con PD e centro-sinistra(?) alle regionali, dal Piemonte all’Emilia a molte altre realtà, impedendo che una presenza di sinistra- da estendere e qualificare- potesse radicarsi e divenire realtà nazionale.
2) OGGI, nonostante il coraggio, l’impegno, la coerenza dei/delle candidat*,- la paura di una vittoria della destra – il richiamo della foresta fanno dimenticare regionalismi differenziati, cementificazioni, appoggio al renzismo che ha steso tappeti rossi a Salvini, Giorgia …
3) La assenza di una prospettiva di SINISTRA UNITARIA e ALTERNATIVA fa il resto. Assente in Calabria, frammentata in Umbria, in Emilia ha tre liste. Il gioco di alcuni è di avere lo 0,.. in più del vicino, per presentarsi come il migliore e maggiore di un’area, ormai inesistente e di cui nessun* conosce neppure l’esistenza. Almeno liste diverse con unica candidatura!
4) Anche gli appelli al VOTO DISGIUNTO, per quanto nati da motivazioni oneste e comprensibili, mi paiono un segno di debolezza che accresce ancora lo stato di difficoltà.
In questo quadro:
a) da domani mattina occorre moltiplicare l’impegno per una UNITA’ DI AZIONE della sinistra alternativa su punti specifici.
b) questa non può essere somma di sigle, ma deve tentare di chiedere ad ASSOCIAZIONI, GRUPPI… un lavoro unitario, che parta dalla sconfitta consumata contro: – distruzione dell’ambiente – distruzione del lavoro e della storia che rappresenta – distruzione di quanto è pubblico (sanità, scuola, trasporti) – guerre, spese militari, basi militari sul nostro territorio. L’idea di “condizionare” chi porta avanti queste politiche (grandi opere, guerre democratiche, politiche confindustriali, finanziamento alle scuole private…) dall’interno si riproporrà, ma è puerile ed è già stata sconfitta mille volte
c) abbiamo bisogno di interlocuzione con settori pacifisti, ecologisti, di radicalismo religioso. E’ folle tentare, ad ogni campagna elettorale, APPELLI AL VOTO (penso al lavoro encomiabile di Francesco Maselli) e poi non dare seguito a questo lavoro. I settori interessati (intellettualità, ecologismo politico, sindacalismo, internazionalismo, pensiero di genere, radicalismo cristiano…) debbono essere coinvolti (non è questione di tessere o di professione di fede) in un lavoro collettivo che vada ben oltre le scadenze.
O ci proveremo davvero o la sconfitta, neppure troppo a lungo termine, sarà inevitabile e definitiva.

Sergio Dalmasso

Genova, 26 gennaio 2020, ore 16.00
Fonte Facebook

Luxemburg Piccardo Dalmasso

Rosa Luxemburg convegno con Lara Piccardo e Sergio Dalmasso

Genova 14 dicembre 2019, presentazione del libro di Sergio Dalmasso, “Rosa Luxemburg : una donna chiamata rivoluzione” oltre all’autore interviene anche la Professoressa Lara Piccardo docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università di Genova e slavista.

Il pensiero politico di uno dei protagonisti del marxismo e del 20-esimo secolo, un personaggio consegnato all’oblio perché scomodo con la sua critica acuta, puntuale e profetica.

La degenerazione della rivoluzione russa ha provato incontestabilmente quello che lei aveva previsto sarebbe accaduto.

A cent’anni dal suo assassinio nel gennaio del 1919 (da parte dei Corpi Franchi (Frei Corps) milizie paramilitari di estrema destra) assieme al suo compagno di partito Karl Liebeneckt, il suo pensiero oggi attraversa, una fase di rivalutazione e d’interesse da parte di marxisti e non.

Quindi Rosa Luxemburg è non solo una grande protagonista del 20-esimo secolo, ma anche e soprattutto una donna eccezionale.

Il video della presentazione che ha per fonte: Sergio Contu – Attac è stato pubblicato online su Arcoiris TV in data 23 gennaio 2020.

Luxemburg Piccardo Dalmasso

A ricordare la figura di Rosa Luxemburg nei grandi media in Italia abbiamo soltanto il film di Margareth Von Trotta ROSA L. (considerato da Dalmasso un po’ minimalista per quanto riguarda il pensiero politico della Luxemburg  che era d’elevatissimo spessore) trasmesso in lingua italiana nel 1986 da RAI 1 e divenuto nel frattempo raro, quasi introvabile; è disponibile su YouTube nel seguente link:

 Rosa Luxemburg film di Margareth Von Trotta

Film di Margareth Von Trotta Rosa L.

Barbara Sukowa interprete di Rosa Luxemburg in Rosa L.