La sinistra italiana e lo stalinismo

La sinistra italiana e lo stalinismo, Il caso Magnani e Cucchi – il saggio di Sergio Dalmasso – è stato stato collocato nella sezione Archivi, Scritti storici, Articoli e saggi;  pubblicato da ISRAT, è  presente online.

(israt: Istituto per la Storia della Resistenza e della Societa’ Contemporanea in provincia di Asti, C.so Alfieri 350 – Asti).

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Lo scritto di Sergio Dalmasso è stato pubblicato anche nel Quaderno del CIPEC numero 55.

“Nel gennaio 1951, i parlamentari emiliani Magnani e Cucchi uscirono dal Partito comunista, criticando la supina adesione del Pci alla politica estera dell’Unione Sovietica.”

Il caso Magnani e Cucchi saggio di Sergio Dalmasso

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Alcuni dati su Sergio Dalmasso

SERGIO DALMASSO : Comando presso Istituto storico della Resistenza e della società contemporanea di Cuneo per tre anni scolastici, 2000/2001, 2001/2002, 2002/2003.

PUBBLICAZIONI:

• Libri, 9 libri di storia politica;

• Partecipazione a libri con saggi di storia politica;

• Cura di testi e riviste storiche;

• Recensioni e schede di testi storici su numerose riviste;

• Cura di (e scritti su) 72 (ad oggi) quaderni “Storia, cultura, politica” editi a Cuneo.

Una biografia politica Karl Liebknecht

Una biografia politica Karl Liebknecht, in anteprima sulla pubblicazione a stampa – prevista per il prossimo anno (2023) – si può scaricare gratis il quaderno cipec n. 70 con scritti su:

Gianni Alasia. Versi e Pensieri (Gianni Alasia), Karl Liebknecht (Giuseppe Gambino), Mario Giovana nell’USI, Consiglio provinciale Cuneo 1995-1997 (Sergio Dalmasso), Recensioni del libro Rifondazione Comunista (Giachetti e Marra).

Download “Quaderno CIPEC N. 70” Quaderno-CIPEC-Numero-70.pdf – Scaricato 18730 volte – 4,11 MB

Copertina del quaderno cipec n. 70, Una biografia politica Karl Liebknecht

Indice generale del quaderno 70

Introduzione (Sergio Dalmasso) pag. 5

Gianni Alasia. Versi e pensieri (Gianni Alasia) pag. 7

24 maggio: I socialisti nel momento della guerra (Franco Astengo) pag. 14

Una biografia politica. Karl Liebknecht: un politico poco conosciuto (Giuseppe Gambino) pag. 17

Karl Liebknecht “Malgrado tutto” (Giuseppe Gambino) pag. 35

Sintesi di “Militarismo ed antimilitarismo” di Liebknecht (Giuseppe Gambino) pag. 38

Mario Giovana nell’U.S.I. (1951/1957) (Sergio Dalmasso) pag. 47

Consiglio provinciale di Cuneo, 1995/1997 (Sergio Dalmasso) pag. 61

Storia di Rifondazione comunista (Diego Giachetti) pag. 75

Un utile libro sulla storia di Rifondazione Comunista (Rosario Marra) pag. 79

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Giovanni Alasia

Gianni Alasia

Citazione. Gianni Alasia: “Scusate se mi alzo in piedi, ma io sono educato.”

Gianni Alasia, quaderno 53.

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(Contiene anche l’indice dei nomi).

Buona lettura.

Lucia Canova quaderni CIPEC

L’avventura dei Quaderni del CIPEC curati da Sergio Dalmasso nasce nel lontano aprile 1995 con il quaderno numero 1 dedicato a Lucia Canova.

Ecco un passo di cosa racconta Lucia Canova a Dalmasso in una sua intervista trascritta nel quaderno 1 e in seguito in un video documentario dell’amministrazione provinciale di Cuneo e del Comune di Garessio, mostrato di seguito.

Lucia Canova comunistaSe mi guardo indietro e mi domando la ragione del mio essere comunista non posso attribuirla tanto alle mie letture giovanili – Marx e Gramsci li ho letti molto più tardi – quanto alla sensibilità che avevo fin da bambina di cogliere l’ingiustizia profonda che si nasconde nelle pieghe delle differenze sociali.

Nacque presto in me un senso di ribellione; volevo lottare per dare a tutti la possibilità di vivere meglio, di migliorare ed emanciparsi, di scrollarsi di dosso l’ignoranza; per me essere comunista voleva dire tutto questo“.

Lucia Canova nasce il 16 marzo del 1904 a Garessio (Cuneo).

Fin dalla prima giovinezza partecipa attivamente alla vita politica del suo tempo.

Nel 1921 è al Congresso di Livorno dove avrà luogo la scissione del Partito Socialista e la fondazione del Partito Comunista Italiano a cui Lucia aderirà immediatamente.

Perseguitata e imprigionata durante il Ventennio fascista, dopo l’8 settembre 1943 darà il suo contributo al CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) locale.

Candidata alla Costituente, nel 1950 viene eletta consigliere provinciale.

Lucia Canova muore nel novembre del 1999. Per l’intensità della sua passione politica e il coraggio dimostrato durante la sua lunga esistenza viene ricordata come la “Pasionaria” dell’Alta Val Tanaro.

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25 aprile con Primo Levi

Franco Di Giorgi-Primo Levi

Per un altro 25 aprile “a distanza”, insieme a Primo Levi

A proposito di una mostra on-line a cura dell’Anpi.*

Mostra a Ivrea sulla festa della liberazione 25 aprile con Primo Levi

«L’arte e la scienza» si legge al primo comma dell’articolo 33 della nostra Costituzione «sono libere e libero ne è l’insegnamento».

Questo il principio, il fondamento.

Dalla nostra storia e soprattutto dalla nostra Resistenza, dalla quale esso è sorto, apprendiamo però che non c’è e non ci può essere in generale libertà alcuna senza l’esperienza liberatoria e liberante della lotta per la liberazione.

Liberazione anzitutto dal nazifascismo, i cui effetti, nonostante un secolo dalla fondazione e i 76 anni dalla fine della guerra, continuano ancora a farsi sentire su di noi, così come si sentivano sui giovani di allora.

«Ci proclamavamo nemici del fascismo» annotava Primo Levi ne Il sistema periodico (Oro) «ma in effetti il fascismo aveva operato su di noi, come su quasi tutti gli italiani, estraniandoci e facendoci diventare superficiali, passivi e cinici».

Ebbene, non potremmo forse dire la stessa cosa noi oggi, sotto i colpi del Coronavirus, di un nemico invisibile che ci costringe a una nuova forma di Resistenza passiva?

Passiva e deteriorante, simile nella sua inconfrontabilità all’esperienza vissuta dai deportati, e quindi – confessa Levi in una intervista concessa nel maggio del 1986 a Ferdinando Camon, a proposito della pubblicazione de I sommersi e i salvati – differente da quella attiva e vittoriosa vissuta dai partigiani (cfr. G. Poli e G. Calcagno, Echi di una voce perduta, Mursia, Milano 1992).

Il distanziamento non accresce forse la nostra estraneità, non approfondisce la nostra reciproca sospettosità, non alimenta l’intolleranza? «L’intolleranza – fa notare infatti Levi nel capitolo de I sommersi e i salvati dedicato al problema della comunicazione – tende a censurare, e la censura accresce l’ignoranza della ragione altrui e quindi l’intolleranza stessa: è un circolo vizioso rigido, difficile da spezzare».

E questa viziosa circolarità centrata sull’intolleranza non ricalca forse quella pendolarità della violenza preventiva che alimenta anziché smorzare la violenza stessa?

Un simile vizio circolare ci sembra poi che si possa cogliere anche in rapporto all’uso contemporaneo del linguaggio.

A causa del suo estremo semplificarsi richiesto dalle prestazioni tecnologiche sempre più avanzate, come pure a causa del moltiplicarsi delle emergenze nel presente, pur volendo progettare un futuro possibile e pur volendo recuperare un passato memorabile, alla fine non può fare altro che appiattirsi sul presente e sulle sue esigenze costantemente critiche.

E la precarietà, l’incertezza della vita e del domani, specialmente per quanto riguarda i giovani, non ci rende forse più superficiali, più passivi e soprattutto più cinici?

Forse proprio ai giovani di oggi, certo non per colpa loro, manca quello che, nella primavera del ’45, in un campo allestito dai russi liberatori, Levi aveva colto nella diciottenne ucraina Galina (la giovane impiegata de La tregua) «la dignità di chi lavora e sa perché, di chi combatte e sa di aver ragione, di chi ha la vita davanti» (Katowice). I giovani degli anni ’80, scriverà ancora Levi nella Conclusione de I sommersi e i salvati, tendevano a non interessarsi dell’esperienza concentrazionaria vissuta solo quarant’anni prima dai deportati nei Lager nazisti, perché «assillati dai problemi d’oggi».

Si tratta, precisa, di «una generazione scettica, priva non di ideali ma di certezze, anzi, diffidente delle grandi verità rivelate; disposta invece ad accettare le verità piccole, mutevoli di mese in mese sull’onda convulsa delle mode culturali, pilotate o selvagge».

Insomma: i segni di questa emergenza pandemica non sono forse quelli stessi che ha lasciato in noi il fascismo?

Anche noi che ci proclamiamo antifascisti dobbiamo quindi porre attenzione all’emergenza Covid-19 – ecco il senso dell’avvertimento che cogliamo nella testimonianza di Levi –, perché da questa pandemia, come si vede, si creano impercettibilmente le condizioni, l’humus venefico per l’insorgenza di quell’erba malsana, della quale tanta fatica è costato lo sradicamento.

Com’è noto, inoltre, una tra le più profonde e dolorose ferite che questo virus ha scavato nel tessuto sociale è sicuramente quella dell’ineguaglianza, piaga che si apre come un ampio solco in cui facilmente possono attecchire i semi di quell’erba velenosa.

Un disvalore che, per potersi radicare meglio, quell’erba è capace di trasformare in discriminazione sociale e perfino razziale.

Nel 1976, al teatro Carignano, in occasione della presentazione de Il sistema periodico, Levi a tal riguardo ammoniva:

«Il sentiero in discesa che comincia dalla negazione dell’uguaglianza tra gli uomini, finisce fatalmente nella perdita della libertà e nel Lager».

E l’esperienza dei deportati, come ricorderà, è «esperienza passiva e deteriorante», mentre quella dei partigiani è «esperienza della lotta vittoriosa».

Ma il Presidente Ciampi nel 2000 volle rimarcare il fatto che i primi segni della Resistenza, oltre che nella scelta partigiana dei civili l’8 settembre, compiuta dallo stesso giovane Levi, e nelle quattro giornate di Napoli, si vide anche nella maggioranza degli internati militari italiani che vennero rinchiusi negli Stammlager e negli Offlager tedeschi perché si erano rifiutati di aderire alla Repubblica di Salò e quindi al nazifascismo.

Ad ogni modo, una volta ripulito il terreno da quell’erba infestante, da quell’invadente gramigna, nonostante la stanchezza accumulata durante il ventennio e soprattutto nei lunghi cinque anni di guerra, tra cui l’odiosa coda della guerra civile, più facile sembrò ai nostri padri, ai padri fondatori, la ricostruzione: allontanandosi da quel passato torbido, essi, anche grazie al piano Marshall, poterono guardare a un futuro più radioso con fiducia, speranza e leggerezza.

Ma oggi, ad appena un anno dall’esplosione della pandemia, siamo già molto provati e soprattutto cupi, perché sembra che essa, con le sue ferite, con i suoi 120 mila morti, ci stia di nuovo riportando nostro malgrado verso un futuro che sa molto di quel passato buio.

Dinanzi a questo grave e attuale disagio nell’affrontare l’avvenire, le parole chiare e oneste di Levi ci vengono incontro: «Il domani» ci ammonisce ne L’altrui mestiere (1985) «dobbiamo costruircelo noi, alla cieca, a tentoni».

Ecco allora l’intervento quasi sempre provvidenziale dell’arte. Anche quando rievoca il passato, essa è sempre al contempo una messa in discussione del presente, una prefigurazione critica del futuro, allusione a dimensioni altre, a spazi di libertà impensati, a eventi inauditi.

Anche a questo proposito, il testimone e scrittore torinese è molto schietto.

In uno dei suoi racconti postumi (Auschwitz, città tranquilla) osserva: la pagina documentaria «non possiede mai il potere di restituire il fondo di un essere umano: a questo scopo, più dello storico e dello psicologo sono idonei il drammaturgo e il poeta».

E noi, per questo secondo 25 aprile a distanza e segnato dalla pandemia, potremmo aggiungere a buon diritto anche i dieci artisti che hanno accettato l’invito dell’Anpi di Ivrea a celebrare la festa della Liberazione con una esposizione on-line di alcune loro opere. (https://www.facebook.com/472943589751904/videos/3822709961141953/).

* Il testo, pubblicato sulla pagina facebook dell’Anpi di Ivrea e del Basso Canavese, costituisce la presentazione della mostra a cui rimanda il link. Qui viene riproposto con un diverso titolo e con qualche aggiunta.

25 aprile con Primo Levi, Primo Levi 1960

Primo Levi seduto alla scrivania mentre legge (1960)

RANIERO PANZIERI

 

L’iniziatore dell’altra sinistra

PAOLO FERRERO Panzieri, l’iniziatore dell’altra sinistra, Shake ed., 2021, 320 pp.

 

RANIERO PANZIERI

Paolo Ferrero ripubblica, aggiornato, un importante testo sulla grande figura di Raniero Panzieri, uscito nel 2006 per Punto Rosso, con il titolo Un uomo di frontiera, contenente testimonianze, una breve antologia, una nota biografica, la prefazione di Marco Revelli, l’introduzione dello stesso Ferrero.

La ripubblicazione di questo testo, ampliato ed aggiornato, costituisce uno dei pochi segni di interesse per il centenario della nascita di Panzieri che non ha prodotto dibattito, confronti, ricordi, anche valutazioni critiche che una pietra miliare nella storia della sinistra italiana avrebbe meritato.

Anche Panzieri è stato colpito dalla amnesia che ormai avvolge personaggi e fasi di quello che fu il movimento operaio più interessante e originale a livello europeo.

In qualche raro caso, la sua figura è stata ricordata per la fase più significativa, quella dei “Quaderni rossi”, dal 1961, letti semplicisticamente come prodromo dell’operaismo, dimenticando tutta l’attività politica precedente nasce nell’immediato dopoguerra, nel PSI, su posizioni morandiane (nella fase dei Consigli di gestione), prosegue a Messina presso la cattedra di Galvano Della Volpe e nel PSI siciliano impegnato nell’occupazione delle terre.

Persa la possibilità di carriera accademica, per il continuo impegno politico (segretario regionale siciliano), nel 1953 si trasferisce a Roma come funzionario di partito incaricato della stampa e propaganda, quindi nel 1955 della commissione cultura (cfr. Mariamargherita SCOTTI, Da sinistra. Intellettuali, PSI e organizzazione della cultura -1953/1960-, Roma, Ediesse, 2011) che tenta una politica culturale non subordinata a quella del PCI.

Download “Scheda, Mariamargherita SCOTTI, Da sinistra. Intellettuali, PSI e organizzazione della cultura (1953/1960)” n.-81-2012-Da-sinistra.-Intellettuali-Partito-socialista-italiano-e-organizzazione-della-cultura.pdf – Scaricato 22416 volte – 857,94 KB

Ancora la pubblicazione, dopo la morte prematura, delle opere di Rodolfo Morandi, il lavoro, dal 1956, per evitare l’identificazione stalinismo/comunismo e per l’uscita a sinistra dallo stalinismo, la co-direzione della rivista “Mondo operaio” che, nel biennio 1957-1958, conosce il suo periodo più innovativo.

Sette tesi sul controllo operaio

Le Sette tesi sulla questione del controllo operaio, (in “Mondo operaio, febbraio 1958) scritte in una preziosa collaborazione con Lucio Libertini, costituiscono il tentativo più ricco e più organico di una ipotesi alternativa a quelle maggioritarie nella sinistra, legate anche alle Tredici tesi sul partito di classe (in “Mondo operaio”, novembre 1958).

Dal 1961, Panzieri si sente estraneo al partito, incamminato verso la partecipazione ai governi di centro-sinistra.

Il lavoro di consulente presso l’Einaudi, a Torino, lo mette in contatto con la realtà viva di fabbrica nella fase di rilancio del protagonismo operaio, dopo l’estate del 1960, nel pieno della migrazione interna, del prezioso lavoro del sindacato torinese, dell’espansione industriale che produce il moltiplicarsi di problemi sociali (casa, servizi…).

Si lega a lui un gruppo di giovani torinesi (Rieser, Mottura, i Lanzardo, Soave…) che coglie la originalità della sua analisi e della pratica.

Nascono contatti con posizioni simili che stanno maturando a Roma (Tronti, Asor Rosa) e in Veneto (Negri).

L’analisi panzieriana che si esprime nei “Quaderni rossi” è innovativa

Va intanto alle fonti, alla lettura diretta e non travisata di Marx, a parti del Capitale mai analizzate.

Rompe totalmente con la interpretazione della seconda e della terza Internazionale centrate sull’ipotesi del partito guida.

Il rilancio della via consiliare con riferimenti alla stagione dell’”Ordine nuovo”, all’autogestione jugoslava, ai consigli polacchi e ungheresi del 1956, indirettamente a tutta la tradizione consiliare che percorre l’intero secolo, permette di ipotizzare una classe operaia che costruisca i propri istituti, una democrazia che si basi su un rapporto fra istituti elettivi e di base.

Dopo il 1956

E’ chiaro, dopo il 1956, un passaggio dalla morandiana politica unitaria di classe al controllo operaio e quindi ad un particolare “leninismo” centrato su un “dualismo di potere”, ma sono evidenti elementi di continuità di un percorso teorico- politico che sarebbe errore limitare agli ultimi tre anni di vita.

E’ fondamentale, al di là dell’interpretazione che poi alcune formazioni politiche ne daranno, l’analisi della tecnologia, della non neutralità della scienza (L’uso delle macchine nel neocapitalismo) che tanto peso avrà negli anni successivi.

Lo sviluppo tecnologico non è neutro.

La macchina e la scienza sono funzioni del capitale: La macchina non libera dal lavoro l’operaio, ma toglie il contenuto del suo lavoro.

Lo strumento di conoscenza non ideologica della realtà è l’inchiesta, soprattutto se diviene co-inchiesta (cfr. Uso socialista dell’inchiesta operaia, sul numero 5 dei Q:R), costruita insieme al soggetto politico e sociale da analizzare che diventa attore esso stesso, superando la visione mistica del soggetto rivoluzionario che spesso nasce dall’esterno.

Le difficoltà, però, si moltiplicano.

Il rapporto con il sindacato torinese si interrompe, già dopo il primo numero, su cui hanno scritto Garavini, Foa, Alasia, Pugno.

Nell’estate 1961, una lettera di Garavini e Pugno accusa la rivista di semplicismo e schematismo, segnando la fine della breve collaborazione.

Ancor più tese divengono le relazioni dopo gli scontri di piazza Statuto ( luglio 1962).

Nel mese di settembre, il servizio d’ordine sindacale impedisce a Panzieri di entrare in un teatro in cui si svolge una manifestazione.

La redazione dei “Quaderni rossi” si divide su linee politiche

La componente che fa capo a Mario Tronti, Toni Negri, Alberto Asor Rosa ritiene che la maturazione politica della classe sia tale da permettere il salto organizzzativo rivoluzionario, accusa di “sociologismo” la pratica panzieriana e darà vita a “Classe operaia”.

Panzieri replica ritenendo queste posizioni frutto di misticismo rivoluzionario, una sorta di filosofia della storia centrata sulla classe operaia, accusa alcune valutazioni di rozza ideologia del sabotaggio.

Panzieri non vede rinnovato il contratto con l’Einaudi, insieme a Renato Solmi, per avere sostenuto la pubblicazione di una inchiesta di Goffredo Fofi sulla migrazione meridionale.

L’accusa è di voler usare la casa editrice per fini ideologici.

Ancora una volta, come dopo la rinuncia alla carriera accademica, l’attività di Panzieri sembra, per coerenza estrema, dover iniziare da capo.

Quando sembra avere allacciato un rapporto con la Nuova Italia di Firenze, arriva improvvisa la morte, per embolia cerebrale, il 9 ottobre 1964.

Libro di Paolo Ferrero

Il libro di Ferrero uscito opportunamente nel centenario della nascita, contiene uno scritto dell’autore che mette in luce gli elementi di attualità del pensiero e della pratica di Panzieri, creando un legame fra le tesi sul controllo operaio e la tematica dei “Quaderni rossi”.

Panzieri è antidoto rispetto alle visioni autoritarie, statolatriche, centralistiche, antidemocratiche del marxismo e del comunismo che è, invece, partecipazione e democrazia dal basso.

Molte le testimonianze, a cominciare dalla moglie Pucci Saija, traduttrice del Capitale, a tant* militanti scompars*, Dario Lanzardo, Giorgio Bouchard, Gianni Alasia, Pino Ferraris, Giovanni Jervis, Edoarda Masi, Vittorio Rieser… a chi lo ha accompagnato in una breve stagione, drammaticamente interrotta: Cesare Pianciola, Giovanni Mottura, Liliana Lanzardo, Sergio Bologna, Goffredo Fofi.

Importanza del testo

Ne emerge un quadro composito che non solamente ci fa ricordare una delle più grandi figure della nostra storia, ma ne fa risaltare i non pochi elementi di attualità, quanto mai da conoscere e discutere nel vuoto attuale.

Consigli, democrazia diretta, Cina, migrazione meridionale, composizione di classe, neocapitalismo, sviluppo economico dell’Italia, coscienza di classe, uso della tecnologia, rapporto tra spinta di massa/partiti di classe/sindacato.

Un testo per una riflessione collettiva.

Sergio Dalmasso

in “Lavoro e Salute” n. 3 Marzo 2021.

Presente anche in Schede e Recensioni

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Addio Lidia Menapace

di Sergio Dalmasso

Ho incontrato, per la prima volta Lidia Menapace a Roma, nel luglio 1970, ad una delle prime assemblee nazionali del Manifesto.

Eravamo partiti da Genova, viaggiando di notte (le cuccette erano un lusso impossibile) in treno, Giacomo Casarino ed io, arrivando a Roma, morti di sonno, in una giornata caldissima di luglio.

Morta Lidia Menapace 7 dicembre 2020Ci era stata consegnata la prima stesura delle “Tesi sul comunismo”, in una assemblea che si sarebbe dovuta svolgere a piazza del Grillo, ma data la partecipazione, si svolse a Montesacro.

Lidia era la più simpatica, la più disponibile fra i/le dirigenti che, a noi ventenni, sembravano di altra età, generazione, formazione e incutevano rispetto (Natoli, Rossanda…).

Quando si telefonava a Roma per chiedere che qualcun* partecipasse a dibattiti, incontri… arrivava sempre Lidia, puntualissima, precisissima.

Decine di riunioni della commissione scuola (ricordate le critiche ai “decreti Malfatti”?, poi il referendum per difendere il divorzio.

Ancora lei, dappertutto.

Ai temi usuali, il Manifesto aggiungeva tematiche insolite e originali, riprendendo riflessione dell’UDI sulla famiglia, il ruolo della donna; Lidia, per la sua formazione cattolica e democristiana era anche tramite con comunità di base, settori allora attivissimi su questo e altri temi.

Rimase stupita quando ad Alba (Cuneo), la sala prenotata si dimostrò troppo piccola per la partecipazione enorme e fummo messi in una palestra. Lo racconto sul “manifesto”.

Poi l’ennesima scissione, DP e PdUP, il suo ruolo di consigliera regionale nel Lazio, i suoi articoli e libri, le migliaia di assemblee, incontri su scuola, pace/guerra, il no al servizio militare per le donne, l’originalità e centralità della tematica di genere che spesso, a sinistra, veniva ridotta a servizi sociali, maternità, asili…

Nei primi anni di questo secolo, l’avvicinamento e poi l’iscrizione a Rifondazione. Incontri dappertutto, pur in una situazione difficilissima, partecipazione a convegni, direttorA (non voleva il termine direttrice che le ricordava le scuole elementari) della prima “Su la testa,” rivista mensile, consigliera provinciale (dopo due consigli regionali e il Senato!) a Novara, città in cui era nata.

A più di 90 anni era sempre in moto, in treno, dalla sua Bolzano nell’Italia intera per collettivi di donne, associazioni pacifiste, ambientaliste, per l’ANPI di cui era dirigente nazionale: “Sono ex insegnante, ex senatrice, ma sempre partigiana”.

Tre aneddoti:

– 2004. Abbiamo un incontro pubblico con lei, a Cuneo. Leggo su “Liberazione” della morte del marito. Le scrivo dicendole che possiamo annullarlo, che non si faccia obblighi con noi. Risposta: “Arriverò. Alla mia età, se ci si ferma, non si riparte più”.

– 2010: per le elezioni regionali piemontesi, nostra assemblea a Bra, città sede di uno dei più attivi e capaci circoli del vecchio PdUP. Era convinta che tant* sarebbero venuti a rivederla, salutarla, dopo una militanza comune, di anni. Neppure un*. Il deserto. Era rimasta molto addolorata e colpita. Non uso aggettivi e tristi considerazioni antropologiche sul settarismo di “sinistra”.

– 2016. per il compleanno di Rosa Luxemburg, a Cuneo, viene fondato un circolo Arci che prende il suo nome. Mi viene chiesta una relazione su vita ed opere. Al dibattito partecipa anche Lidia (per me un onore).

Al termine mi dice di mettere per scritto quanto ho detto. Lei avrebbe aggiunto un suo testo e ne sarebbe nato un libro, a quattro mani, per l’editore Manni. Altro onore per me. Scrivo, diligentemente il mio compitino. Il suo testo non arriverà mai, nonostante, lettere, e-mail, telefonate…

Dopo due anni e mezzo alla “critica roditrice del computer”, “Una donna chiamata rivoluzione” uscirà presso la Redstarpress che ancora ringrazio.

Mesi fa se ne è andata Rossana Rossanda. Prima di lei Natoli, Pintor, Magri, vinto anche dalla sconfitta politica e da un mondo in cui non si riconosceva più. È il nostro passato che ci lascia, in una realtà sempre più drammatica.

Lidia Menapace negli anni Sessanta

Essere stato amico di Lidia e avere condiviso tratti di percorso con lei è stato per me (e non solo) molto bello ed importante.

Con affetto.

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L’attualità del pensiero di Gramsci

 Intervengono Sergio Dalmasso e Giordano Bruschi.

Moderatrice Cecilia Balbi.

Intervento iniziale di Pino Cosentino.

Locandina Attualità del pensiero di Gramsci

L’Attualità del pensiero di Gramsci, temi del primo incontro:

“Vita e opere di Gramsci” con Sergio Dalmasso

“L’incontro con Gramsci della generazione della resistenza” con Giordano Bruschi

Video su L’attualità del pensiero di Gramsci:

Ciclo di incontri promosso da APS Consorzio Zenzero, Attac Genova, ANPI Sezione Genova S. Fruttuoso, Goodmorning Genova, Il Ce.Sto.

Primo incontro, martedì 20 ottobre 2020.

In diretta dal circolo ARCI Zenzero di Genova.

“Vita e opere di Gramsci” con Sergio Dalmasso storico del movimento operaio.
“L’incontro con Gramsci della generazione della resistenza” con Giordano Bruschi Partigiano e insignito della medaglia il Grifo d’oro massima onorificenza della città di Genova

Introduce Cecilia Balbi del Circolo Zenzero.

Tecnico audio Stefano Gualtieri

Tecnico video Dimitri Colombo

Conferenza trasmessa in diretta streaming il 20 ottobre 2020 su Facebook da Goodmorning Genova.

“Il consiglio comunale di Genova, minoranza e maggioranza – esclusi i consiglieri di Fratelli D’Italia che hanno deciso di votare contro – ha detto sì alla proposta di assegnare il Grifo d’Oro, massima onorificenza cittadina, a Giordano Bruschi.

Il partigiano “Giotto”, che presto compirà 95 anni, è conosciuto come memoria storica della resistenza e del novecento genovese, ma anche per la sua esperienza politica, sempre a sinistra, nel Pci, per cui fu consigliere comunale, e poi come scrittore, ambientalista e come anima dei comitati della Val Bisagno.

Sull’assegnazione del Grifo a Bruschi il plauso della Camera del Lavoro di Genova e del segretario Igor Magni.

Magni: “Grande soddisfazione per questo importante riconoscimento a Bruschi che con il suo impegno di militanza, esercitato sempre, anche nei momenti più difficili, rappresenta un esempio per tutti noi.

Un abbraccio fraterno da tutte e tutti noi della Cgil di Genova”. ”

Orizzonte della sinistra

 

PER UN 25 APRILE ALTERNATIVO !!!

ANPI Ivrea e Basso Canavese

Un contributo dello Storico del Movimento Operaio

Sergio Dalmasso

Il mondo come orizzonte della sinistra

Orizzonte della sinistra
Orizzonte della sinistra. Il settantacinquesimo anniversario non deve essere affrontato retoricamente, ma con la consapevolezza della posta in gioco e della necessità di cercare insieme nuovi paradigmi…

Sono iscritto all’ANPI da quando l’adesione è aperta a figli di ex partigiani.

ANPI nazionale, Orizzonte della sinistra

Nella crisi totale, se non assenza, della sinistra politica, sociale e culturale, l’ANPI resta una struttura unitaria, garanzia democratica, strumento di lavoro, di discussione.

Questi anni saranno ricordati, sui futuri libri di storia, non solamente come quelli della progressiva distruzione/catastrofe ambientale, ma come quelli in cui grandi masse popolari, anziché avere un riferimento in una ipotesi di cambiamento sociale (la rivoluzione sovietica, la lotta antifascista, il riscatto del terzo mondo, la protesta giovanile ed operaia…) sono stati consegnati ad una destra reazionaria, parafascista, fondamentalista, sovranista, populista (in senso deteriore).

Il 25 aprile e la valenza internazionalista del primo maggio debbono servirci a ripensare alcuni fondamentali: – il significato dei beni comuni – il primato del collettivo sul privato – uno sguardo non limitato al “particulare” nazionale, ma capace di abbracciare il mondo – il rilancio di un pensiero laico e critico.

Anche l’attuale emergenza mette in luce: – i rischi causati dalla progressiva distruzione dell’ambiente – i danni prodotti dalle progressive logiche privatistiche – i rischi di una chiusura democratica, dell’aumento del controllo sociale (una sorta di “grande fratello” planetario con crescita di poteri personali e autocratici) – il tentativo di far ricadere la crisi ambientale e sociale sulla parte più povera del mondo e sulle classi subalterne (il parallelo con gli anni trenta non è forzato).

Il settantacinquesimo anniversario non deve, quindi, essere affrontato retoricamente, ma con la consapevolezza della posta in gioco e della necessità di cercare insieme nuovi paradigmi.

Sergio Dalmasso, Genova 9 aprile 2020

Mario Beiletti, presidente ANPI Ivrea e Basso Canavese

Grazie all’amico Sergio dall’Anpi”.

Articolo pubblicato il 21 aprile 2020.

Download articolo Orizzone della sinistra:

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Addio Bruno Cristofanini

È morto a Cogoleto (Genova), Bruno Cristofanini

 

Addio Cristofanini
Addio Bruno Cristofanini. Pochi anni fa era scomparsa la moglie Clara infaticabile attivista, organizzatrice di feste dell’Unità, figura centrale della sinistra di questa cittadina partigiana, antifascista, un tempo operaia.

Lo scorso anno era morta, prematuramente, la figlia Iris, fondatrice della Rifondazione locale, consigliera comunale, maestra elementare, colonna dell’ARCI e della casa del popolo.

Bruno era stato partigiano a 16 anni, poi operaio, sempre iscritto al PCI.

Nel ’91, la scelta per Rifondazione, poi lasciata dopo una delle tante tristi scissioni.

Anni fa gli avevo chiesto di raccontarmi la sua vita, la scelta partigiana, la fabbrica, il PCI locale, il sindacato.

Mi aveva risposto di avere troppi impegni.

Avevo chiesto alla figlia, Iris, di mandarmi almeno la testimonianza del periodo partigiano, ma questa non mi è mai arrivata.

Vi era il ritegno, proprio di tanti militanti, nel raccontare la propria vita, ritenendo che le scelte, i sacrifici, le lotte fossero cosa di poco conto, quasi insignificante.

Il 9 gennaio, ho ricordato, alla casa del popolo di Cogoleto l’eccidio di Modena 1950.

Abbiamo messo fiori alla lapide che ricorda i lavoratori uccisi dalla polizia di Scelba.

La testimonianza di Bruno sul dopoguerra, le elezioni del 1948, gli anni duri del centrismo e delle ristrutturazioni industriali, è stata magnifica e commovente.

Lo avevo ringraziato, ricordandogli che – anche quando sembra tutto finito – la memoria ha una funzione importante e sarebbe stato utile riprendere il filo dei ricordi e scriverli.

Lo ho visto e salutato a fine febbraio, quando, nello stesso luogo, con Cristina Campanile, ho ricordato le figure di Rosa Luxemburg e degli spartachisti.

Mai avrei pensato che fosse il nostro ultimo incontro.

Saremmo dovuti tornare, per altra iniziativa pubblica, a marzo, ma non è stato, ovviamente possibile.

Leggo della sua morte.

Quando andavo a Cogoleto, il pensiero correva sempre ad Iris.

Ora correrà anche a Bruno, alla moglie, alle fotografie delle feste dell’Unità – anni ’50 – che nel corridoio della casa del popolo, parlano della nostra storia, della nostra sconfitta che dobbiamo cercare di non rendere irreversibile.

C’è sempre più bisogno di Iris, di Bruno, di questa epopea di persone semplici che – per un mondo diverso – hanno dato tutto.

Sergio Dalmasso,

notizia da facebook

Sabato 18 aprile 2020

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Ciao Terribile

Morto questa notte il partigiano Riccardo Ravera Chion

Ci sono momenti in cui non vorresti dire nulla, fingere che non sia successo, e continuare a pensarlo sì lontano, in una sua dimensione privata, ma ancora presente ogni volta che scorri la storia dei Partigiani e ne riguardi le immagini e rievochi le azioni.

Eppure ti tocca, ancora una volta, dare un ultimo saluto ad un protagonista della Resistenza.

Terribile non ha bisogno d’essere raccontato, da quei suoi 14 anni che lo videro tornare da scuola e trovare la casa bruciata, i genitori arrestati, perché il fratello più grande già era fra i “banditi” che operavano sulla Serra.

Lui stesso, tanti anni dopo, amava definirsi in tal modo, con enfasi ed orgoglio, presentandosi alle scolaresche.

Quel ragazzino in lacrime che si presenta ad una zia, e lei gli offre un piatto di minestra, però lo allontana subito per non subire la stessa sorte.

E Riccardino vaga sulla montagna, finché rintraccia il fratello e diventa egli stesso Partigiano.

Perché venisse sin da subito chiamato col nome di battaglia “Terribile” è facile capirlo per chi lo abbia conosciuto. Irruente, coraggioso, uomo d’azione sin da quei giorni lontani, e per sempre.

Ciao TerribileMi è stato chiesto di parlare di lui…

Lo conobbi mentre stavamo lavorando alla Sede Anpi di Chiaverano.

Lui, spazientito per le mie rifiniture ad un pannello, diventò impetuoso, ma si trovò di fronte un’altrettanta decisa, seppur silenziosa, opposizione.

Come due gladiatori nell’arena, bastò uno sguardo, e fummo amici per sempre. Ci eravamo reciprocamente misurati, capiti, stimati.

Mancò il vecchio Presidente Silla Cervato, e Riccardo ne prese il posto. Fui il suo “segretario” per anni. Un tirocinio prezioso.

Terribile aveva la rara capacità, pur col suo carattere “fumantino”, di ascoltarti, trattarti alla pari, dialogare con profitto. L’Anpi iniziò a crescere, ad incontrare i giovani, le scolaresche. Fu il periodo dei “Totem” in Ivrea e dintorni, mentre purtroppo diminuiva il drappello dei Testimoni. Dopo Silla, l’ing. Benedetti, Timo, Defilippi, Liano, Olmo…

Quante veglie funebri… quante volte alzammo il gonfalone a porgere gli onori ad un Caduto…

Sempre lui intonava a gran voce il canto del Partigiano:

Là sulle cime nevose

una croce sta piantà.

Non vi son fiori né rose,

è la tomba di un soldà

L’è un partigian che il nemico uccise

l’è un partigian che tra il fuoco morì;

la mamma tua lontana

ti piange sconsolata

mentre una campana

in ciel prega per te.

E noi ti ricordiamo,

o partigiano che guardi di lassù,

mentre scendiamo al piano

ti salutiamo, caro compagno.

Non pianga più la mamma

il figlio suo perduto

sull’Alpe sconosciuto

un altro eroe sta là.

Vi vedo e penso ancora

nell’ora dei tramonti,

al sorger dell’aurora,

montagne del mio cuor.

Questo dolce ricordo

mi fa sognare, mi fa cantare

tutta la melodia

che riempie il cuor di nostalgia.

Vi vedo e penso ancora

nell’ora dei tramonti

al sorger dell’aurora

montagne del mio cuor.”

E poi c’erano i momenti belli, quelli dei ricordi di un ragazzino che si conquistò “l’arme in battaglia” come cantò Calvino, puntando il dito sulla schiena d’un milite fascista che passeggiava con la morosa al lago Sirio; la raffica che si prese al bivio di Grivalin, salvandosi a nuoto nel canale; i buffi tentativi di portare il carretto tirato da un mulo recalcitrante… e poi le sue avventure africane che raccontavano di un continente duro, di piroghe sul fiume, della sua “Cilia”, Cecilia, che lo invitava a cambiar discorso. E ciò avveniva nella sua casa circondata dal prato, all’ombra degli alberi, e lui accogliente come un re dell’antica Grecia che invitava generoso a banchetto. Pomeriggi d’estate in cui il vino scorreva: freisa, bonarda per mandar giù tome e salami…

Per quei sedici anni di differenza fu un fratello maggiore, ma ancor più un amico.

Tanti aneddoti ci sarebbero, se la stanchezza e la malinconia lo consentissero…

Ciao, Terribile, raggiungi anche tu la schiera degli Eroi che ti hanno preceduto. Ci avete dato libertà e democrazia.

Ti voglio salutare come avresti fatto tu, alzando il bicchiere di vino (quante volte lo hai rovesciato sulla tovaglia mentre ti sbracciavi a salutar qualcuno!) Alzo a te il bicchiere come se non fosse successo nulla, e tu fossi ancora dritto e potente e forte come un tempo, e fossimo nel tuo giardino.

È un bel 25 Aprile, una radiosa giornata primaverile: “Che non sia mai l’ultima!

Mario Beiletti

(Presidente dell’Anpi di Ivrea

e del Basso Canavese)

23 febbraio 2020