Rifondazione Comunista di Sergio Dalmasso

Dal movimento dei movimenti alla chiusura di “Liberazione”, storia di un partito all’interno della crisi della sinistra italiana.

Copertina Rifondazione Comunista di Sergio Dalmasso

Storia di Rifondazione Comunista: Recensione su Amazon di un lettore.

Il libro di Sergio Dalmasso sulla storia di Rifondazione Comunista dal 2001 (con i fatti del G8 di Genova) al 2011 (chiusura – dopo l’avvento al governo di Montidel quotidiano Liberazione) acquistato in Amazon, è arrivato in tempi brevi e da me letto in questo triste fine e inizio anno 2021/2022 che stiamo vivendo per la pandemia Covid-19.

Periodo quello raccontato nel testo (che si aggancia coerentemente al decennio precedente narrato nel suo libro Rifondare è difficile (2002)) di fervido protagonismo della formazione politica RC con a guida Fausto Bertinotti, a mio avviso, con la sua “ondivaga” linea politica e con la difficile guida di Paolo Ferrero.

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Difficile in seguito alle scissioni di pancia e provocate, avvenute queste ultime in seguito al forte attacco alla formazione comunista da parte del PD governista, liberista, centrista e bipolarista.

Il racconto del decennio

Dalmasso racconta con maestria di questo decennio facendo parlare i protagonisti della storia, NON interpretandoli, con i principali fatti avvenuti perfettamente incastonati cronologicamente nel contesto italiano e mondiale.

Dati al lettore usando come linea guida il quotidiano ufficiale del partito “Liberazione”, ma non soltanto – la bibliografia è molto ricca.

(Download gratis del primo capitolo del libro sulla storia di Rifondazione Comunista: )

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Mancano nel libro i racconti orali (le interviste ai protagonisti della storia – quel che avveniva dietro le quinte tra i protagonisti) che alcuni ritengono potrebbero arricchire maggiormente la storia di Rifondazione.

Non necessariamente, io penso, poiché il libro, dà ugualmente al lettore – nelle sue 303 pagine – la possibilità di comprendere gli avvenimenti accaduti, di valutare i pro e i contro e di farsi un’autonoma idea cogliendone i meriti e i demeriti di ognuno se non, diversamente da quanto con modestia sostiene l’autore nelle sue conclusioni, dare indicazioni sul come proseguire positivamente la storia evitando gli errori commessi.

Consiglio per gli acquisti

Consiglio di acquistare il testo, principalmente se si vogliano comprendere i travagli che hanno portato, gli attori del recente passato, a delle scelte senza fermarsi alla superficialità con cui sono stati e sono ancora narrate dalle fonti mediatiche di parte.

Avvenimenti occorsi in Italia in quel decennio che hanno ripercussioni nell’attualità politica dell’oggi, nella vita delle persone di oggi.

Torino, 8 gennaio 2022.

Domenico Capano

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Recensione Amazon su Rifondazione Comunista di Sergio Dalmasso

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La Comune di Parigi

I 150 anni della Comune di Parigi

L’Unigramsci sezione di Genova ha trasmesso in diretta YouTube (18 maggio 2021) il seminario sulla Comune di Parigi con intervento del prof. Sergio Dalmasso.

Seminario moderato da Giovanni (detto Gianni) Ferretti autore del libro: A sinistra di Internet pubbicato nel quaderno CIPEC numero 66.

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La Comune

“La Comune di Parigi è la forma di organizzazione autogestionaria, di stampo socialista libertario, che assunse la città di Parigi dal 18 marzo al 28 maggio 1871.

È considerata la prima grande esperienza di autogoverno della storia contemporanea.

A seguito delle sconfitte militari sofferte dalla Francia nella guerra franco-prussiana contro la Prussia, il 4 settembre 1870 la popolazione di Parigi impose la proclamazione della Repubblica,

contando di ottenere riforme sociali e la prosecuzione della guerra.

Quando il governo provvisorio deluse le sue aspettative e l’Assemblea nazionale, eletta l’8 febbraio 1871, impose la pace e minacciò il ritorno della monarchia, il 18 marzo 1871 Parigi insorse,

cacciando il governo Thiers, che aveva tentato di disarmare la città, e il 26 marzo elesse direttamente il governo cittadino, sopprimendo l’istituto parlamentare.

La Comune, che adottò a proprio simbolo la bandiera rossa, eliminò l’esercito permanente e armò i cittadini, stabilì l’istruzione laica e gratuita, rese elettivi e revocabili i magistrati e tutti i funzionari,

retribuì i funzionari pubblici e i membri del Consiglio della Comune con salari prossimi a quelli operai,

favorì le associazioni dei lavoratori e iniziò l’epurazione degli oppositori, quali i cittadini fedeli al Governo legittimo e i rappresentanti religiosi.

L’opera della Comune fu interrotta dalla reazione del governo e dell’Assemblea nazionale, stabiliti a Versailles.

Iniziati i combattimenti nei primi giorni di aprile, l’esercito comandato da Mac-Mahon pose fine all’esperienza della Comune,

entrando a Parigi il 21 maggio e massacrando in una settimana almeno 20.000 parigini compromessi con la rivolta durante la cosiddetta semaine sanglante, settimana sanguinosa.

Seguirono decine di migliaia di condanne e di deportazioni, mentre migliaia di parigini fuggirono all’estero. “

La Comune di Parigi, Procamazione della Repubblica Parigi
Fonte Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/Comune_di_Parigi_(1871)

LA SINISTRA

Quando c’era La Sinistra di Diego Giachetti

Spesso gli storici sono portati a scegliere determinati argomenti di studio, rispetto ad altri, perché mossi consapevolmente o meno da ragioni attinenti alla propria esperienza di vita, tanto è vero che si è coniata la dizione di “storia come autobiografia”.

Raccontando di fatti specifici, collocati nelle loro circostanze storiche, nello spirito del tempo, lo storico, sovente restio a produrre memoria, ci parla alla lontana di se stesso, di eventi vissuti e formativi.

Lo confessa, con discrezione, Sergio Dalmasso (La Sinistra, una stagione troppo breve,

Edizioni Punto Rosso, Milano 2021) quando ricorda che ai tempi in cui era studente liceale aspettava l’uscita del mensile La Sinistra con interesse, ancora consapevole oggi che quella lettura gli è stata molto utile, come probabilmente lo fu a quel tempo per un’area di militanti politici in quel particolare momento storico di fine anni Sessanta, caratterizzato da importanti avvenimenti nel mondo e in Italia.

A spingere La Sinistra c’era una giovane casa editrice, la Samonà e Savelli (poi solo Savelli); essa favorì la discussione politica e teorica dando spazio, accanto alla ristampa di classici di Marx, Engels, Lenin, Trotsky, ad autori non solo di area trotskista ma di diverse sensibilità politiche e culturali del movimento operaio e della sinistra rivoluzionaria, pubblicando a caldo anche testi di Fidel Castro e Che Guevara.

La Sinistra fu un azzeccato “prodotto commerciale”.

Subito mille abbonati, destinati in breve tempo a diventare 2600, secondo quanto si leggeva nel resoconto comparso sull’ultimo numero del mensile del novembre-dicembre 1967.

Le vendite oscillavano tra le 7-8 mila copie, specie in occasione di numeri dedicati al Vietnam e all’America Latina.

Si trattava di dati che reggevano bene il confronto con altre riviste di partito come il settimanale comunista Rinascita, Mondo Operaio del Partito socialista e Mondo Nuovo del Partito socialista di unità proletaria (Psiup).

Prima rivista mensile (di questa si occupa l’autore), dall’ottobre 1966 al dicembre 1967,

poi settimanale, cessa le pubblicazioni nella primavera del 1968.

I temi dominanti della prima serie sono la guerra nel Vietnam, la situazione nei paesi dell’America Latina, la giovane rivoluzione cubana, la lotta di classe negli Stati Uniti e il black power, il contrasto Cina-Unione Sovietica, la rivoluzione culturale, il Medio Oriente.

Rispetto alla politica interna primeggiano le analisi critiche sulla partecipazione socialista al governo e la relativa programmazione economica, sul ruolo e la strategia dei sindacati nella lotta operaia, sul nuovo Psiup.

Sul piano teorico-storico studi su Gramsci e il dissenso nel Pci negli anni Trenta, su Lenin e l’imperialismo.

Vi collaborano esponenti del dissenso ingraiano maturato nel PCI, del Psiup, della sinistra sindacale Cgil, della sezione italiana della IV Internazionale, inizialmente i più convinti promotori della rivista, sia Savelli che Samonà ne fanno parte, nonché alcuni intellettuali e studiosi di fama internazionale.

La dirige Lucio Colletti, che per molti anni aveva militato nel Pci, ed era noto come teorico marxista rigoroso, di cui Dalmasso traccia impietosamente la sua successiva parabola declinante, che lo porterà, come Giulio Savelli d’altronde, nelle file berlusconiane.

Mal accolta dai comunisti, l’uscita del primo numero provoca la radiazione dal partito dell’editore Giulio Savelli, la rivista si propone di rilanciare il discorso unitario di una sinistra operaia e di classe, nella prospettiva di favorire l’incontro tra tutte le forze deluse dalle vie riformiste al socialismo di matrice socialista e comunista.

Un generoso tentativo di inserire una “terza via” politica e culturale rispetto all’operaismo e al marxismo-leninismo importato dalla Cina maoista.

Si ricava quindi un suo spazio in quella che a posteriori verrà chiamata la stagione delle riviste,

iniziata nella metà degli anni Cinquanta e in piena fioritura negli anni Sessanta, ricchi di dibattito culturale, politico, di tensioni a livello nazionale e internazionale, di rimessa in discussione di certezze e dogmi ingessati dagli anni della Guerra fredda.

Un “disgelo” di domande, di creatività, di proposte e di propositi facilitati dalla speranza di vivere in un mondo che sarebbe presto cambiato, rinnovandosi e ponendo fine a vecchie diseguaglianze, oppressioni, guerre e violenze.

Si trattò di una stagione intensa ma breve, di un’esperienza di confronto politico e di elaborazione che non trovò seguito nel biennio delle lotte studentesche e operaie di lì a venire, quando collaboratori e lettori di quella rivista si dispersero nel mare del nascente movimento studentesco per poi riaggregarsi nel variegato e vivacissimo arcipelago dei “gruppi” della nuova sinistra rivoluzionaria.

Forse questa è una delle ragioni per cui, tra le riviste di quella stagione, essa è la meno ricordata.

Benvenuto quindi lo strappo dall’oblio di Sergio Dalmasso.

4 maggio 2021

DIEGO GIACHETTI

Fonte: dalla parte del torto

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Il digitale come ci cambia
Il digitale, come ci cambia. A sinistra di Internet Giovanni Ferretti

Il digitale, come ci cambia?

Giovanni Ferretti

Due indagini condotte nel 20181 affermano che circa il 40% dei giovani tra i 18 e 29 anni dicono di essere on-line quasi costantemente, al pari del 36% delle persone di età compresa tra i 36 e i 49 anni.

Nella Generazione Z, cioè quella dei ragazzi nati tra il 1995 e il 2010, la percentuale risulta ancora incrementata: il 95% di loro usa uno smartphone, e il 45% sostiene di farlo quasi costantemente.

Benessere e felicità personali sono strettamente connessi alla possibilità di avere un’attività comunicativa on-line.

Shoshana Zuboff, nel proprio libro Il capitalismo della sorveglianza, afferma che gli I-like di Facebook sono diventati la cocaina della nuova generazione, sono come scariche di dopamina. 

Già nel 1993, Derrick de Kerckhove, nel libro Brainframes, parla di psicotecnologie: il telefono, la radio, la televisione, i computer, i satelliti modificano le relazioni all’interno del tessuto sociale; questo significa che essi ristrutturano e modificano le caratteristiche psicologiche dei singoli.

Venendo ad epoca più recente, i social media, Facebook innanzitutto,

alterano la presentazione del sé, aggravano l’incapacità dei ragazzi di sviluppare un io pienamente indipendente, fanno perdere la capacità di stare da soli, la capacità di vedere gli altri come soggetti separati e indipendenti.

A seguito di ciò, statisticamente parlando, aumenta la necessità di costruire la propria identità e la propria personalità esclusivamente in funzione del gradimento degli altri, talvolta sostituendo la realtà percepita del sé con i simulacri degli avatar.

Esistono studi svolti in ambito scolare che evidenziano come gli alunni non siano più capaci di guardare negli occhi, che siano indifferenti al linguaggio dei corpi, che non capiscano quando feriscono qualcuno e che siano incapaci di costruire amicizie basate sulla fiducia. 

Un’altra indagine2, questa volta operata su studentesse universitarie, ha evidenziato che nell’ultimo periodo, caratterizzato da una crescita esponenziale del tempo che viene trascorso dai giovani sui social media, è aumentata quella che viene definita la paura del botta e risposta, del non preparato, che è propria del dialogo, con una conseguente fuga dai contatti personali diretti.

Questo conduce a un vero e proprio analfabetismo emotivo.

I tempi della chat permettono di controllare le proprie emozioni, con l’aggravante che in rete si è quello che si vuole essere: aumenta il narcisismo, si perdono inibizioni e, come già accennato, si rileva una maggiore incapacità di interessarsi ai problemi degli altri;

un mondo distonico, privo di empatia, come reazione alla paura di essere inadeguati, soprattutto fisicamente (lo shame of body, la vergogna del corpo) e, soprattutto, il FOMO (dall’acronimo Fear of missing out), paura del non esserci, del perdere qualcosa, che poi è la molla che rende così appetibili i social network.

Nel 2007, Barry Wellman, parlando di Villaggio Globale3,

definisce la comunità come la rete dei legami interpersonali che forniscono appoggio, informazioni, senso di appartenenza e, quindi, anche identità sociale.

Fino a poco tempo fa tutto questo era dato dalla prossimità di luogo: la casa, i lavoro, il paese.

Oggi al centro della comunità c’è la rete di contatti della singola persona, contatti sviluppati soprattutto per senso di appartenenza e di interesse. Anche in questo caso si evidenzia come il singolo si trinceri sempre più in comunità di simili e si precluda il confronto e l’ibridazione sociale e culturale.

Al centro della comunità non c’è più il paese, la piazza, il condominio, bensì il computer e quello che Howard Rheingold definisce il telecomando della vita: il telefonino.

1 Perrin e Jiang, “About a quarter of U.S. adults …”, Pew Research Center, 14 marzo 2018; Monica Anderson e Jingjing Jiang, “Teens, social media & technology 2018”, Pew Research Center, 31 maggio 2018.

2 Sherry Turkle: indagine su studentesse Baylor University – su Internazionale, marzo 2016.

La rivista “La Sinistra”

Una stagione troppo breve

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Può sembrare strano – e forse nostalgico – un saggio su una rivista, vissuta per soli quindici mesi nei lontani anni ’60, di cui i più ignorano l’esistenza mentre altri l’hanno completamente dimenticata.

Libro La rivista La sinistra

Ma “La Sinistra” rientra a pieno titolo nella stagione delle riviste degli anni ’60, ricchi di dibattito culturale, politico, di tensioni a livello nazionale e internazionale e di forte rimessa in discussione di certezze e di dogmi.

In questo panorama, segnato ad inizio decennio, dai “Quaderni rossi”, dalla divisione con “Classe operaia”, e quindi dalla forte crescita dei “Quaderni piacentini”, la rivista che più interpreta il movimento del ’68, “La Sinistra”, ha un ruolo minore, ma specifico.

Novità Edizioni Punto Rosso.

In uscita il 21 marzo 2021

(per richiedere i libri scrivere a edizioni@puntorosso.it)

L’autore del libro Sergio Dalmasso è nato a Boves (Cuneo).

Vive a Genova.

È stato per quarant’anni insegnante di scuola media superiore.

Militante della sinistra, dal movimento studentesco a Manifesto, PdUP, DP, Rifondazione.

È stato consigliere comunale, provinciale, regionale.

Già redattore di riviste storiche, si occupa di storia del movimento operaio, della sinistra politica e sociale in Italia, della stagione dei movimenti, di figure dei partiti di sinistra.

Ha recentemente pubblicato per la Redstarpress due brevi biografie su Lelio Basso e Rosa Luxemburg e per le Edizioni Punto Rosso una monografia su Lucio Libertini.

Cura i quaderni “Storia, cultura, politica” del CIPEC.

Formato 11×16, Pagg. 120, 10 euro.

ISBN 9788883512582

Edizioni Punto Rosso

Viale Monza 255 – 20126 Milano

edizioni@puntorosso.it – www.puntorosso.it

Milano, 15 marzo 2021, Roberto Mapelli

Download articolo recensione di Roberto Mapelli

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Nascita del PCI

Sergio Contu intervista Sergio Dalmasso su Nascita PCI (Partito Comunista Italiano)

 

Nascita PCI Livorno

Delegati al teatro Goldoni di Livorno durante il XVII congresso del Partito Socialista Italiano

 

Nascita PCI

 

Sergio Contu videointervista su “La nascita del P.C.I. nel 1921 al XVII congresso del P.S.I.” a Sergio Dalmasso storico del movimento operaio:

Il Partito Comunista Italiano (PCI) è stato un partito politico italiano di sinistra, nonché il più grande partito comunista dell’Europa occidentale.

Venne fondato il 21 gennaio 1921 a Livorno con il nome di Partito Comunista d’Italia come sezione italiana dell’Internazionale Comunista in seguito al biennio rosso, alla rivoluzione d’ottobre e alla separazione dell’ala di sinistra del Partito Socialista Italiano guidata tra gli altri da Nicola Bombacci, Amadeo Bordiga, Onorato Damen, Bruno Fortichiari, Antonio Gramsci e Umberto Terracini al XVII Congresso del Partito Socialista Italiano.

Durante il regime fascista, che dal 1926 lo costrinse alla clandestinità e l’esilio, ebbe una storia complessa e travagliata all’interno dell’Internazionale Comunista negli anni venti e trenta, al termine della quale nel 1943 divenne noto come Partito Comunista Italiano.

Durante la seconda guerra mondiale assunse un ruolo di primo piano a livello nazionale, promuovendo e organizzando con l’apporto determinante dei suoi militanti la Resistenza contro la potenza occupante tedesca e il fascismo repubblicano.

Il segretario Palmiro Togliatti attuò una politica di collaborazione con le forze democratiche cattoliche, liberali e socialiste, propose per primo la «via italiana al socialismo» ed ebbe un’importante influenza nella creazione delle istituzioni della Repubblica Italiana.

Fonte Wikipedia

Addio Lidia Menapace

di Sergio Dalmasso

Ho incontrato, per la prima volta Lidia Menapace a Roma, nel luglio 1970, ad una delle prime assemblee nazionali del Manifesto.

Eravamo partiti da Genova, viaggiando di notte (le cuccette erano un lusso impossibile) in treno, Giacomo Casarino ed io, arrivando a Roma, morti di sonno, in una giornata caldissima di luglio.

Morta Lidia Menapace 7 dicembre 2020Ci era stata consegnata la prima stesura delle “Tesi sul comunismo”, in una assemblea che si sarebbe dovuta svolgere a piazza del Grillo, ma data la partecipazione, si svolse a Montesacro.

Lidia era la più simpatica, la più disponibile fra i/le dirigenti che, a noi ventenni, sembravano di altra età, generazione, formazione e incutevano rispetto (Natoli, Rossanda…).

Quando si telefonava a Roma per chiedere che qualcun* partecipasse a dibattiti, incontri… arrivava sempre Lidia, puntualissima, precisissima.

Decine di riunioni della commissione scuola (ricordate le critiche ai “decreti Malfatti”?, poi il referendum per difendere il divorzio.

Ancora lei, dappertutto.

Ai temi usuali, il Manifesto aggiungeva tematiche insolite e originali, riprendendo riflessione dell’UDI sulla famiglia, il ruolo della donna; Lidia, per la sua formazione cattolica e democristiana era anche tramite con comunità di base, settori allora attivissimi su questo e altri temi.

Rimase stupita quando ad Alba (Cuneo), la sala prenotata si dimostrò troppo piccola per la partecipazione enorme e fummo messi in una palestra. Lo racconto sul “manifesto”.

Poi l’ennesima scissione, DP e PdUP, il suo ruolo di consigliera regionale nel Lazio, i suoi articoli e libri, le migliaia di assemblee, incontri su scuola, pace/guerra, il no al servizio militare per le donne, l’originalità e centralità della tematica di genere che spesso, a sinistra, veniva ridotta a servizi sociali, maternità, asili…

Nei primi anni di questo secolo, l’avvicinamento e poi l’iscrizione a Rifondazione. Incontri dappertutto, pur in una situazione difficilissima, partecipazione a convegni, direttorA (non voleva il termine direttrice che le ricordava le scuole elementari) della prima “Su la testa,” rivista mensile, consigliera provinciale (dopo due consigli regionali e il Senato!) a Novara, città in cui era nata.

A più di 90 anni era sempre in moto, in treno, dalla sua Bolzano nell’Italia intera per collettivi di donne, associazioni pacifiste, ambientaliste, per l’ANPI di cui era dirigente nazionale: “Sono ex insegnante, ex senatrice, ma sempre partigiana”.

Tre aneddoti:

– 2004. Abbiamo un incontro pubblico con lei, a Cuneo. Leggo su “Liberazione” della morte del marito. Le scrivo dicendole che possiamo annullarlo, che non si faccia obblighi con noi. Risposta: “Arriverò. Alla mia età, se ci si ferma, non si riparte più”.

– 2010: per le elezioni regionali piemontesi, nostra assemblea a Bra, città sede di uno dei più attivi e capaci circoli del vecchio PdUP. Era convinta che tant* sarebbero venuti a rivederla, salutarla, dopo una militanza comune, di anni. Neppure un*. Il deserto. Era rimasta molto addolorata e colpita. Non uso aggettivi e tristi considerazioni antropologiche sul settarismo di “sinistra”.

– 2016. per il compleanno di Rosa Luxemburg, a Cuneo, viene fondato un circolo Arci che prende il suo nome. Mi viene chiesta una relazione su vita ed opere. Al dibattito partecipa anche Lidia (per me un onore).

Al termine mi dice di mettere per scritto quanto ho detto. Lei avrebbe aggiunto un suo testo e ne sarebbe nato un libro, a quattro mani, per l’editore Manni. Altro onore per me. Scrivo, diligentemente il mio compitino. Il suo testo non arriverà mai, nonostante, lettere, e-mail, telefonate…

Dopo due anni e mezzo alla “critica roditrice del computer”, “Una donna chiamata rivoluzione” uscirà presso la Redstarpress che ancora ringrazio.

Mesi fa se ne è andata Rossana Rossanda. Prima di lei Natoli, Pintor, Magri, vinto anche dalla sconfitta politica e da un mondo in cui non si riconosceva più. È il nostro passato che ci lascia, in una realtà sempre più drammatica.

Lidia Menapace negli anni Sessanta

Essere stato amico di Lidia e avere condiviso tratti di percorso con lei è stato per me (e non solo) molto bello ed importante.

Con affetto.

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Scuola Costituzione

L’IDEA DI SCUOLA NELLO SPIRITO DELLA COSTITUZIONE

Franco Di Giorgi

Scuola e Costituzione articolo di Franco Di Giorgi

La scuola viene generalmente considerata come una fonte inesauribile di acqua alla quale, simili a otri vuoti o ad agnelli guidati da pastori istruiti, gli studenti vengono per un certo tempo a riempirsi o a colmare la loro potenziale sete di sapere.

A distanza di qualche anno dall’insegnamento mi rendo conto però che l’avevo sempre praticata diversamente, cioè al contrario.

Ho sempre insegnato infatti nella convinzione che l’aula di una scuola fosse una conca vuota situata al centro di un’arida agorà, libera e aperta a tutti e ad ogni discussione, una sorta di bacino verso il quale studenti e docenti confluissero ogni giorno per riempirla con la propria acqua, ognuno con le proprie energie intellettuali, con i propri flussi vitali, coi i propri vissuti.

In tal modo, ciascuno, come si dice, portava acqua al mulino della scuola, dissetandosi vicendevolmente con la medesima acqua, scambiandosi talvolta i bicchieri l’uno con l’altro,

acqua che nel tempo la scuola stessa distribuiva a tutti i futuri alunni e insegnanti sotto forma di esperienza didattica, competenza metodologica, ricchezza pedagogica e culturale.

Ma questo diverso modo di intendere e di praticare la scuola, non rispecchia forse l’idea che sta alla base della nostra Costituzione?

Ogni cittadino della nostra Repubblica, volutamente democratica e proprio in quanto democratica, non è forse esortato da questa Carta ad adempiere il dovere etico e quindi civico di recare allo Stato, secondo il principio della proporzionalità,

il suo personale contributo sia come esborso sia come impegno che come partecipazione attiva, diretta o indiretta, alla cosa pubblica, e ciò all’unico scopo di mettere lo Stato in grado di redistribuire questi beni, acquisiti dal senso del dovere, sotto forma di diritti?

Pertanto, se oggi, in questo aspro e lungo periodo di pandemia, in attesa del vaccino salvifico e del Recovery Fund, la scuola più che un comune abbeveratoio culturale si rivela purtroppo in una delle sue funzioni più criticate,

cioè quella di Recovery Place, ciò non deve indignare oltremodo, almeno o soprattutto in questo momento, poiché, pur determinando in parte un inevitabile aumento dei contagi, essa va incontro alle esigenze delle famiglie,

il cui lavoro, come sappiamo, è fondamentale e quindi indispensabile sia per esse, affinché possano dare il loro doveroso contributo allo Stato, sia alla stessa Repubblica, affinché possa redistribuirli ai cittadini in forma di diritti.

Non per nulla, infatti, il lavoro compare già al primo fra gli articoli fondamentali della Costituzione.

Sicché, come ogni studente e ogni docente, al di là di ogni programma e programmazione, ha il dovere di apportare nella propria classe il proprio singolare e personale contributo spirituale, così, in quanto facente parte di uno Stato, ogni cittadino, all’interno del comune di appartenenza, acquisisce e matura diritti di cui può godere solo dopo aver adempiuto al proprio dovere.

IVREA, 10 ottobre 2020

Franco Di Giorgi docente di storia e filosofia

Sergio Dalmasso su Le Monde diplomatique

Recensione Le monde diplomatique di Libertini, Una limpida storia minore di Alessandro Barile

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Una limpida storia minore di Alessandro Barile

Recensione su Le Monde diplomatique. Libro su Lucio Libertini di Sergio Dalmasso.

Pubblicata una bella recensione di Alessandro Barile su Le Monde diplomatique, edizione italiana, supplemento de Il manifesto, 15 luglio 2020.

Lucio Libertini fa parte di una storia minore della sinistra italiana del dopoguerra: quella della sinistra socialista,
corrente eretica del Psi prima, protagonista della breve stagione del Psiup poi (dal ’64 al ’72), e infine confluita nel Pci una volta fallita ogni speranza di incunearsi tra i due partiti del riformismo operaio.
Una storia onorevole, dai molti meriti e con l’importante demerito di essere arrivata sempre troppo presto, o troppo tardi, agli eventi politici decisivi.

Troppo presto, ad esempio, quando nel febbraio del ’58 lo stesso Libertini e Raniero Panzieri pubblicarono quelle Sette tesi sulla questione del controllo operaio che costituirono l’antefatto dell’operaismo italiano.

Insieme davvero a pochi altri (Fortini, ad esempio), il gruppo legato alla sinistra del Psi – tra gli altri Vecchietti, Ferraris, Panzieri, Lussu, in parte anche Lelio Basso – fu tra i pochissimi che tentò di rispondere alla “crisi dello stalinismo” non cedendo alle ragioni della socialdemocrazia, e anzi rilanciando l’opzione del conflitto in fabbrica e tra le nuove generazioni proletarie.

Continua …

Recensione Le Monde diplomatique: Una limpida storia minore

Il libro di Sergio Dalmasso è acquistabile nelle librerie servite da Edizioni Punto Rosso od online, presente su Amazon.

Libro Lucio Libertini. Lungo viaggio nella sinistra italiana di Sergio Dalmasso 2020

Acquistalo su Amazon

 

Postfazione del libro Lucio Libertini. Lungo viaggio nella sinistra italiana di Luigi Vinci.

In appendice vi sono alcuni articoli di Libertini usciti sulla rivista “La sinistra“.

Nel quaderno CIPEC 67 vi sono gli interventi in consiglio regionale del Piemonte di Lucio Libertini 1975-1976:

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Lidia Beccaria Rolfi


Ho conosciuto Lidia Beccaria Rolfi. Partigiana, deportata nel lager di Ravensbrück, insegnante elementare, poi artigiana/negoziante
(mi scuso per la genericità) nella sua Mondovì (Cuneo).

Lidia Beccaria Rolfi - Scritte antisemite e svasticheAttiva socialmente, politicamente (PSI), culturalmente (ANPI, associazioni antifasciste).

L’ho vista la prima volta, studentello, nel 1965 in un incontro di ex partigiani con giovani studenti, nel ventennale della liberazione.

Carattere sincero e diretto, grande capacità comunicativa.

A lei si ispirò impropriamente Liliana Cavani per il suo “Portiere di notte”.

Efficacissima negli incontri pubblici, che già allora accusavamo di essere spesso retorici (ricordo una pagina – durissima – dei “Quaderni piacentini”).

Il suo libro “Donne a Ravensbruck” (1978) è la prima e resta la maggiore testimonianza sulla deportazione femminile.

(Le donne di Ravensbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, Beccaria Rolfi, Lidia ; Bruzzone, Anna Maria. Einaudi, 1978).

Lidia Beccaria Rolfi giovane

Lidia Beccaria Rolfi

Scrisse anche un testo sul suo difficile reinserimento nella vita civile, dalla gente che non voleva sentir parlare dei lager al provveditore agli studi che la trattò con sospetto in quanto ex partigiana.

Continuo il suo impegno contro il neo-fascismo, dalle proteste contro i comizi missini al quotidiano lavoro di testimonianza.

Leggo con orrore della SCRITTA di ieri sulla casa sua e del figlio Aldo.

Mi terrorizza il fatto che gli autori di queste nefandezze governeranno tra poco, che le politiche della “sinistra” e la nostra inettitudine abbiano spalancato loro la strada.

Soprattutto il senso comune per cui queste sono ragazzate e il termine “EBREO” è sempre più usato come insulto.

Agli/alle imbecilli ricordo che Lidia Rolfi fu deportata per motivi politici e non di razza, ma forse la cosa è troppo difficile.

Ricordo che i tentativi (Parri 1960, nuova sinistra 1975) di mettere FUORI LEGGE le strutture (oggi anche i siti) dell’estrema destra non hanno avuto seguito.

Oggi raccogliamo i frutti di questi errori.

Alla memoria di Lidia e al figlio un saluto.

A noi l’impegno di un vero antifascismo, non retorico, ma sulle questioni sociali.

24 gennaio 2020 – Sergio Dalmasso