I difficili anni 80 del PCI, Il Lavoratore di Trieste
Marzo 2021, Il Lavoratore di Trieste
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QUELLA GRANDE SPERANZA CHIAMATA RIFONDAZIONE
I difficili anni ’80 del PCI
Vi è chi dice che la fine del PCI dati dalla drammatica morte di Berlinguer (giugno 1984).
I suoi funerali, immensi e commossi, ci presentano un popolo, società nella società, che mai più incontreremo nei decenni successivi e vengono sempre paragonati a quelli di Togliatti (agosto 1964), simbolicamente fine di un’epoca.
Alessandro Natta
La segreteria di Alessandro Natta si presenta come di mediazione, di continuità, ma regge con difficoltà le trasformazioni sociali e culturali, l’offensiva frontale del PSI di Craxi, segni di dissenso nello stesso partito, in cui non mancano le accuse al moralismo e alla rigidità di Berlinguer, le aperture alla socialdemocrazia europea, i primi segni di volontà di superamento di nome e simbolo.
La sconfitta elettorale del 1987 riporta il PCI ai livelli degli anni ’60, prima della ondata di lotte e spinte sociali che avevano prodotto i grandi successi del biennio 1974-1976.
Occhetto segretario
Viene eletto vicesegretario Achille Occhetto che, nonostante il suo passato “di sinistra”, si caratterizza immediatamente per il “nuovismo”, per il prevalere degli elementi istituzionali su quelli sociali.
Queste caratteristiche emergono, ancora maggiormente, l’anno successivo quando Occhetto diventa segretario e imprime una forte accelerazione alle tendenze “americanizzanti” (simbolica l’attenzione mediatica alle foto in cui bacia la moglie), aprendo la segreteria a una nuova generazione.
Cornice liberal del PCI
La cornice “liberal” del nuovo partito porta a una scelta movimentista (pensiero di genere, ambiente, nonviolenza…) che supera la tradizionale attenzione alla centralità del lavoro e ai rapporti di produzione, ad una svolta storiografica che comprende un rovesciamento del giudizio sulla rivoluzione francese, una critica netta alla figura di Togliatti, ad una progressiva apertura alla socialdemocrazia.
In questo quadro, segnato da un netto tentativo di omologazione, dalla certezza che il superamento della “anomalia comunista”, potrà portare a un bipolarismo proprio degli altri Paesi europei, la caduta dei regimi dell’Europa orientale offre ad Occhetto l’occasione per bruciare le tappe.
La Bolognina
La “svolta” della Bolognina, significativamente annunciata a partigiani, attori di una storica battaglia (così come la perestrojka fu annunciata da Gorbaciov a combattenti della seconda guerra mondiale), sembra la logica conclusione di un processo avviato da tempo, ma incontra, invece, resistenze molto maggiori e al vertice e nella base (nasce l’interessante movimento degli autoconvocati).
Se qualche opposizione alla linea maggioritaria era venuta da posizioni “ingraiane” (al congresso del 1986 gli emendamenti di Ingrao e Castellina su pace e nucleare), l’unico tentativo di opposizione strutturata e nel tempo nasce dalla componente “filosovietica” o “cossuttiana” (le virgolette sono d’obbligo).
Il primo atto è del dicembre 1981, dopo il colpo di stato di Jaruzelski in Polonia e la dichiarazione di Berlinguer per il quale si è esaurita la spinta propulsiva proveniente dalla rivoluzione sovietica.
Cossutta replica: è errato porre URSS e USA sullo stesso piano e dichiarare esaurita la spinta dell’Ottobre sovietico.
Strappo di Berlinguer
Quello di Berlinguer è uno “strappo”; negli anni successivi userà l’espressione ”mutazione genetica”.
Su queste basi, nasce l’agenzia “Interstampa”, si formano nuclei consistenti in numerose federazioni, vengono presentati alcuni emendamenti al congresso nazionale del 1983, ancor maggiormente a quello del 1986, dove la componente critica lo strappo dall’URSS, la mancanza di una opzione antimperialistica, il rapporto con la socialdemocrazia.
Superamento del capitalismo
Ha un certo seguito l’emendamento che ribadisce che i comunisti operano per il superamento del capitalismo.
La strumentazione di questa area va da riviste, “Orizzonti” che vive un breve periodo, “Marxismo oggi”(dal 1987) alla Associazione culturale marxista che raccoglie grandi figure di intellettuali, emarginati dal “nuovismo” del partito.
Al congresso del 1989, per la prima volta, è presente un documento alternativo che raccoglie solamente il 4%, ma infrange l’unanimismo che ha sempre accompagnato le assisi comuniste e sindacali.
PDS e Rifondazione
Dopo la dichiarazione di Occhetto, l’opposizione nel vertice del partito è maggiore di quanto avrebbe immaginato, ma durissima è la reazione di parte della base che si sente improvvisamente privata di riferimenti, certezze.
Ancor più grave è avere appreso della decisione dalla TV e dai giornali, come testimoniano le lettere all’“Unità”:
“Ho pianto tre volte, quando è morta mia madre, quando è morto Berlinguer, quando Occhetto ha detto che non dovevamo più chiamarci comunisti.”
Il PCI non si può liquidare
“Il PCI non si può liquidare: per noi comunisti convinti, il comunismo è una fede radicata nella storia e se ci togliete la falce e il martello, noi lavoratori a chi potremo mai fare riferimento?”
“Cambiare nome è come cambiare pelle, corpo, cuore.”
Occhetto chiede un congresso straordinario che si svolge a Bologna nel marzo 1990:
66% dei consensi alla mozione maggioritaria che apre il processo costituente di una nuova formazione politica (la “cosa”), 30,6% alla mozione Natta, Ingrao, Tortorella, 3,4% a quella cossuttiana.
Tutti i presupposti su cui scommette la “svolta” risultano erronei:
-
in Italia, si formerà un bipolarismo tra una destra moderata e liberale e un centrosinistra progressista;
-
nel mondo, la fine del bipolarismo aprirà un periodo di pace che permetterà di affrontare i nodi sociali e ambientali (è noto il riferimento alla foresta dell’Amazzonia).
L’opposizione ricorda come nessuno di questi punti si stia realizzando ma, nonostante questo, il processo non si arresta. 150.000 iscritt* sfiduciati, non rinnovano la tessera e non partecipano ai congressi.
Cossutta parla di “scissione silenziosa”
Il congresso di scioglimento del partito, a 70 anni dalla fondazione, si svolge a Rimini dal 31 gennaio al 3 febbraio 1991.
Nuovo nome: Partito democratico della sinistra (PDS) e nuovo simbolo: una grande quercia alla base del quale vi è il tradizionale logo del PCI.
La minoranza decide di unificarsi e usa il significativo titolo di Rifondazione comunista, ma è penalizzata dai tanti abbandoni e dalla scelta per la maggioranza di Tortorella, Ingrao… che decidono di aderire al PDS (“Vivere nel gorgo”).
Qualche seguito alla mozione, intermedia, di Antonio Bassolino.
Nascita di Rifondazione
Al termine del congresso, prima che venga proclamato lo scioglimento del PCI e venuti meno gli appelli all’unità e alla federazione, novanta delegat* su 1260 lasciano il salone principale, si riuniscono in un’aula laterale, colma di bandiere del vecchio PCI, dove Garavini, Cossutta, Serri, Libertini, Salvato annunciano la nascita del Movimento per la Rifondazione comunista.
Gli stessi, con Guido Cappelloni e Bianca Bracci Torsi, confermano, davanti a notaio, con atto pubblico, la continuità del partito comunista.
Nessuno scommetterebbe sulle dimensioni che questa formazione assumerà.
Il gruppo dirigente PDS guarda quasi con favore il distacco dell’ingombrante ala nostalgica e filosovietica.
La rottura immediata serve a negare la filiazione diretta tra PCI e PDS, a far leva sull’elemento simbolico, sul patriottismo di partito contrapposto al discorso sull’unità, sulla fiducia nel gruppo dirigente, sulla volontà di mantenere unita una comunità, usato fortemente dal gruppo dirigente.
Rifondazione nata dal popolo comunista
Rifondazione nasce sulla spinta e la volontà di un popolo comunista non omologato, su esigenze anche diverse, dal ricostruire il partito di Togliatti e Berlinguer alla necessità di ricercare direttive e metodi diversi, capaci di declinare le spinte di classe con le grandi emergenze (ambientalista, pacifista, di genere, altermondialista…) e si trova, da subito, a doversi misurare con una situazione modificata in peggio da:
– crisi frontale del movimento comunista ed esaurimento della stessa socialdemocrazia;
– crisi del paradigma antifascista e della discriminante verso il MSI, a livello culturale, politico, storiografico, di senso comune;
– crollo del sistema della “prima repubblica”, con gli scandali di Tangentopoli;
– sostituzione del sistema elettorale maggioritario a quello proporzionale, giudicato responsabile di ogni difficoltà e di ogni male.
Le sfide di Rifondazione
Rifondazione deve navigare tra queste difficoltà e questi problemi inediti, a iniziare dal tentato colpo di stato in Russia, nell’agosto 1991, sul quale si registrano posizioni divergenti nel gruppo dirigente, mediate da Garavini, sino alla diversa interpretazione dei rapporti con le altre formazioni di sinistra (Verdi, Rete, sinistra PDS) e dell’identità di partito.
Alcuni contrasti emergeranno nel congresso costitutivo (Roma, dicembre 1991), ma torneranno nella gestione successiva che pure produrrà risultati positivi, dalle elezioni del 1992 (5,6% alla Camera, 6,5% al Senato), alle amministrative del 1992, al tesseramento (superato il numero di 120.00 adesioni, sino alla caduta di Garavini – luglio 1993).
Questa prima fase, pur nella sua eterogeneità, resta una delle 17 migliori di Rifondazione:
volontà di confrontarsi, di capire, fine delle certezze, desiderio di ricominciare, di non arrendersi,
certezza di poter offrire alla sinistra, non solamente italiana, una forza politica non minoritaria, legata alla propria storia, ma non dogmatica.
Possiamo dire: Ci abbiamo provato.
Nonostante tutto, proviamoci ancora. (fine della prima parte)
Articolo pubblicato nel marzo 2021 in Il Lavoratore di Trieste.
Sergio Dalmasso
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