Quaderno CIPEC Numero 5
Dal Partito nel Partito
Indice generale
PREFAZIONE p. 5
INTRODUZIONE p. 6
Testimonianze di militanti e dirigenti del P.C.I. negli anni ’50 e ’60 p. 9
Pietro Panero p. 9
Una scelta di vita p. 9
Le lotte in provincia p. 11
All’Alleanza contadini p. 13
Il partito p. 13
Mila Montalenti p. 16
Mario Romano p. 23
Militante e dirigente p. 23
Un bilancio p. 25
Parlamentari e scuole di partito p. 26
Walter Botto p. 28
La guerra p. 28
Partigiano e comunista p. 29
Attivista p. 30
Leopoldo Attilio Martino p. 35
C.I.P.E.C. Attività p. 45
Quaderni C.I.P.E.C. p. 47
PREFAZIONE
Con questo numero, i Quaderni del CIPEC riprendono la pubblicazione di testimonianze di militanti della sinistra politica e sindacale del cuneese.
Queste testimonianze non hanno alcuna pretesa di scientificità e di esaustività e conservano, di norma, il carattere parlato. Tutte le conversazioni risalgono all’ormai lontano 1989, ad un periodo, cioè, in cui era in crescita il PSI di Craxi, in cui non era ancora iniziato ufficialmente il processo di scioglimento del PCI, in cui le liste verdi sembravano in forte espansione, non solo elettorale, in cui la nuova sinistra era rappresentata dalla sola Democrazia Proletaria (DP), alla vigilia di una scissione e delle sue maggiori difficoltà.
La gran parte degli intervistati è ormai lontana da un’attività di militanza che, per molti, risale al decennio passato, ma in tutti sono vive le passioni che l’hanno caratterizzata.
In tutti, una fase della vita è quella che risalta con più interesse e ad un lettore “oggettivo” può sembrare sproporzionata. La Resistenza, l’immediato dopoguerra (la Repubblica, lo scontro con la DC, la campagna elettorale del ’48, la forte polemica con la Chiesa, l’isolamento e i difficili anni del muro contro muro), la stagione delle lotte, non solo contadine, a metà anni ’50, il rilancio degli anni ’60, per i sindacalisti la crescita sindacale e le prospettive “unitarie” emergono, nelle singole testimonianze, in misura preponderante, spesso cancellando, o rendendo secondari, altri periodi.
In molti ricordi non è da ricercarsi la perfetta “oggettività storica”. Prevale sempre il vissuto soggettivo, sono ancora vive le polemiche (tra partiti, ma spesso anche all’interno dello stesso), in più casi compaiono la delusione (a volte il rimpianto o la disillusione), a tratti si notano confusioni o dimenticanze.
Si è scelto, comunque, di pubblicare le “vite”, così come queste sono state raccontate, perdendo in “esattezza storica” (che nessuno, però, potrebbe pretendere da questi quaderni così concepiti), ma offrendo a chi legge uno spaccato sincero (e datato) dì fasi importanti delle vicende della sinistra provinciale.
Alcuni tra gli intervistati non sono più. Ricordiamo Franco Viara, Chiaffredo Rossa, Domenico Trosso, Edmondo Sciolla.
Anche alla loro memoria, come a quella dei tanti militanti di base di una sinistra debole, ma diffusa, è dedicato questo lavoro che ha la sola ambizione di non far dimenticare pagine umili, ma importanti della nostra storia.
Sergio Dalmasso
INTRODUZIONE
Essendo questo quaderno totalmente dedicato ai ricordi di dirigenti del PCI, tra gli anni ’50 e ’60, è opportuno per chi non abbia vissuto e per chi non conosca quella fase politica in provincia, tracciare una breve sintesi dei fatti e del dibattito interno al PCI provinciale.
Chi volesse saperne di più, potrebbe consultare il mio “II caso Giolitti e la sinistra cuneese del dopoguerra” (ed. La Torre, Alba 1987) e la, più recente, tesi di laurea di Carlo Giordano sul PCI locale, una sintesi della quale è stata pubblicata dal “Passato e la storia”, Cuneo, n. 46, secondo semestre 1994, con il titolo: “II doppio accerchiamento. Il PCI in provincia di Cuneo, 1945-1958”.
PRIMA DEL ’56
La cronica debolezza della sinistra nella provincia non è cancellata dalla guerra partigiana né dalla ricostruzione di partiti e sindacati. Forte elettoralmente, ma debole strutturalmente, il partito socialista, ancora unificato; più compatto ed organizzato il PCI, il cui peso nella Resistenza non trova corrispondenza a livello organizzativo ed elettorale. Fragile la presenza sindacale, indebolita dalle scissioni del ’48-’49 e limitata ad alcune fabbriche (particolarmente Burgo di Verzuolo, “Ferroviaria” di Savigliano, Falci di Dronero).
La maggioranza monarchica al referendum istituzionale dimostra il carattere conservatore della provincia e anche il forte desiderio di “continuità dello stato” presente pure in ceti popolari.
Alle politiche del ’48, il Fronte popolare raccoglie solamente il 12,76% ed elegge un solo parlamentare (Antonio Giolitti, presentato dal PCI come continuatore della miglior tradizione liberale e democratica oggi espressa dall’antifascismo e dal movimento operaio). Il forte successo socialdemocratico (11,83%) contribuisce alla sconfitta, all’interno del Fronte, dei candidati socialisti e alle successive gravi difficoltà del PSI.
Nel quinquennio successivo, è forte l’unità tra PCI e PSI (comune anche il periodico locale, “II lavoratore cuneese”). Lo caratterizzano alcune significative battaglie sindacali, seguite dalla scissione di CISL e UIL, polemiche continue sul tema dei caduti e dispersi in Russia, molto sentito in provincia, campagne contro il pericolo di guerra e il Patto atlantico. L’episodio più significativo è la condanna ad un anno di carcere di due militanti (Luigi Borgna e Fiorenzo Tomatis), accusati di incitamento alla diserzione.
Le elezioni politiche del 1953 sono giocate sul tema della legge elettorale maggioritaria (“legge truffa”). A pochi giorni dal voto, il comizio di Togliatti rivolto al liberalismo democratico contro quello “sanfedista”, alleato della DC.
La DC perde a destra verso liberali e monarchici e a sinistra (PCI 9,70%, PSl 7,60%).
Il periodo successivo vede, nel PCI, l’emergere di un nuovo gruppo dirigente (Biancani, Montalenti, Borgna, Panero, Martino) e una svolta politica dì non poco conto. Il documento preparatorio per il quarto congresso provinciale (’54) analizza la crisi dell’economia cuneese, già evidenziata da documenti “ufficiali” (perdita di popolazione, problema della montagna, calo degli addetti all’agricoltura, spopolamento della Langa …). La valutazione sulla struttura economica della provincia e sul limitato peso specifico delle fabbriche è alla base dell’elaborazione della politica di rinascita. La crisi è soprattutto della piccola e media proprietà che non sembra capace di opporsi alla logica dei monopoli da cui è strangolata. Occorre una politica attiva di difesa di questi settori, sorretta da un vasto movimento democratico.
Dall’unità di base è possibile risalire a diversi rapporti tra le forze politiche.
Dal congresso, presenti il vicesegretario nazionale Luigi Longo, il segretario regionale Celeste Negarville e Paolo Cinanni, organizzatore delle lotte contadine nel mezzogiorno, nascono convegni e conferenze economiche che tentano di coniugare il disegno nazionale con proposte locali e alleanze sociali. Nel ’56 il dazio sul vino, per crediti agevolati, per le pensioni, nella valle Bormida contro l’inquinamento dell’ACNA (Montecatini) di Cengio.
II movimento mette addirittura in discussione l’egemonia della Coldiretti, in alcuni comuni delle Langhe si affermano nuove amministrazioni.
Tra ottobre e novembre, proprio mentre il movimento è in crescita, i fatti d’Ungheria s’abbattono sulla gracile sinistra locale. Nonostante l’approvazione della legge sulle pensioni e l’abolizione del dazio sul vino, il movimento si spegne, esaurendosi sulla grossa crisi del PCI e sul recupero di DC ed istituzioni.
IL CASO GIOLITTI. LA NUOVA SVOLTA
Al congresso provinciale del PCI (fine novembre ’56), Giolitti esprime critiche sul giudizio espresso intorno ai fatti ungheresi, sul regime interno al partito (libertà di espressione del dissenso), sul legame tra battaglia per il socialismo e libertà democratiche. Più nettamente, le medesime tesi sono ripetute al congresso nazionale (Roma, dicembre), in cui il deputato cuneese sembra sintetizzare critiche, dissensi, riserve, aspettative di vasti settori, soprattutto intellettuali, del partito.
Nei primi mesi del ’57, Giolitti riassume ed amplia le divergenze, pubblicando un testo “Riforme e rivoluzione”, ancora interno al dibattito al partito. La risposta è di Luigi Longo con “Revisionismo nuovo ed antico”, in cui si confutano, una per una, le tesi del parlamentare cuneese. Il dibattito prosegue con due articoli di Giolitti su “Rinascita” e una risposta di Togliatti. A luglio, nella sua villa di Cavour, il dissidente scrive le sue dimissioni dal partito. Si parla di un suo ritorno allo studio e all’attività teorica, come dimostrerebbe l’uscita di “Passato e presente”, rivista che si somma alle molte nate dalla volontà di ridiscussione e di ricerca aperta dal trauma del ’56.
Si manifesta, invece, in provincia e fuori, un movimento che guarda con attenzione ad un suo ritorno alla battaglia politica e al rinnovamento del PSI locale. Si hanno defezioni dal PCI soprattutto nell’area di Saluzzo e Barge e gioca un ruolo attivo il Raggruppamento provinciale autonomo socialista che, sotto la guida di Manlio Vineis, raccoglie fuorusciti dal PCI, dal PSDI, e numerose personalità convinte che un PSI autonomo e rinnovato possa giocare un ruolo centrale nella vita politica della provincia.
Nella primavera del ’58, Giolitti è quindi candidato del PSI alle politiche ed inizia a caratterizzarsi come una delle figure più significative del riformismo socialista che prefigura la stagione del centro sinistra. I risultati vedono una nuova crescita democristiana e un forte successo socialista che non assorbe, però, interamente, la frana comunista.
Proprio questa sconfitta frontale è l’occasione per il rilancio di un forte scontro nel PCI cuneese che vive il suo momento più difficile. Privo di parlamentari (Biancani subentrerà all’astigiano Villa solo nel ’61), di consiglieri provinciali (l’unico è passato al PSI), vive la sua maggior crisi organizzativa (perdita di iscritti e di sezioni) e politica.
Il democristiano Sarti, coniando un’espressione poi molto usata, lo definisce un “corpo estraneo alla provincia”. Lo scontro interno produce una sterzata rispetto alla politica di Rinascita, una netta polemica verso socialisti e forze laiche, l’accentuazione delle scelte di partito su quelle di movimento, il ritorno alla centralità operaia, secondo alcuni erroneamente abbandonata.
Diventa segretario il vercellese Nestorio, da tempo funzionario a Cuneo. Ancor oggi, come testimoniano i ricordi di militanti e dirigenti, questa fase è giudicata in modi differenti. Se per alcuni è quella di una indispensabile resistenza contro gli attacchi esterni e di una doverosa affermazione dì una autonomia ed una identità che poi scompariranno, per altri, la gestione Nestorio segna la chiusura di rapporti e contatti, una autosufficienza settaria, rapporti interni autoritari.
Lo stesso lavoro parlamentare di Biancani è oggetto di critiche (pesa su di lui l’accusa di non aver combattuto frontalmente l’eresia giolittiana).
Non tocca a questi quaderni il compito di esprimere valutazioni, giudizi, o ancor più di ricercare la “verità storica”. A chi legge l’incombenza di orientarsi tra interpretazioni soggettive e ricordi spesso ancora legati alle polemiche di anni ormai lontani.
(Sergio Dalmasso)