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Giornata internazionale CONTRO la violenza sulle donne

25 novembre, 2020.

L’altra storia di Lilìth di Franco Di Giorgi

L’altra storia di Lilìth, commento al video

No violenza

No violenza. Lo stupro, opera di Caterina D’Amico, scultura in gesso dipinta con colori acrilici, misure reali, anno 1994).

Il sesso non ricambiato è violenza e reato.

L’opera di Caterina D’Amico è a grandezza naturale e intende denunciare la sconvolgente esperienza dello stupro. Ricoperta di frammenti di specchio, la veste ribaltata sul volto della donna evidenzia la non partecipazione all’atto sessuale.

Secondo alcune testimonianze, il corpo violentato della donna rimane come un involucro privo di forza e di volontà di vivere, tale per cui l’essere umano si sente sporco, dentro.

Assaliti dalla curiosità, durante le esposizioni alcuni uomini si avvicinavano chiedendo: “Chi è quel purcun che ha fatto questa scultura?” La risposta che si poteva dare era: “Il purcun è colui che anche davanti a questo corpo violentato e abbandonato vede solo sesso, solo un’ulteriore preda da usare come vittima”.

Durante la fruizione ravvicinata dell’opera, facendolo rispecchiare in quei cocci di vetro spezzato, l’artista cerca di mettere in grado lo spettatore di ribaltare il senso della vergogna su un potenziale stupratore, su colui che ha potuto o che, date certe condizioni, potrebbe osare quella violenza.

Sull’opera si veda il video su YouTube “Sguardo oltre la pelle” (2005) di Lino Budano.

No violenza, Lo stupro, opera di Caterina D'Amico

Video Sguardo oltre la pelle di Lino Budano:

No violenza

L’altra storia di Lilìth

di Franco Di Giorgi

 Sin dall’inizio nel giardino apparvero in due. Le prime parole che lui le rivolse quando se la vide dinanzi furono queste, ispirate da un poeta dell’amore eterno: «Mi piaci quando taci perché sei come assente. Distante e dolorosa come se fossi morta». Dentro di sé, infatti, cercava il silenzio primigenio, desiderava la solitudine originaria, l’integrità fisica, il primato e il privilegio dell’unicità, quella beatitudine di cui aveva goduto ancor prima di quell’inizio e che Dio purtroppo gli aveva negato pensando che egli, Adam, si annoiasse e che non stesse bene che fosse solo. Lui, il solo a non essere stato generato da una donna, lui che non conosceva madre, ora se ne trovava invece una davanti, molto simile a sé, Lilìth, la madre di tutte le altre madri, la quale per di più pretendeva di essere la madre anche di lui, di Adam, perché ogni uomo, e a maggior ragione anche il primo, è destinato a una donna che ricorda la propria madre. Con la stessa pasta, con la medesima ’adamàh, Dio aveva creato due esseri, di cui uno, l’essere femminile, riteneva di essere la madre dell’essere maschile. Era lui, invece, che voleva essere la madre anche di lei, della donna. Non ci mise molto a disfarsi di Lilìth e addormentandosi si dispose in modo che Dio gliene formasse un’altra secondo l’immagine che avrebbe visto in sogno, però utilizzando questa volta la propria ’adamàh, la sua stessa materia maschile. Da lui, da Adam, dall’ish nacque così, subito dopo il primo femminicidio, lei, Eva, l’ishàh.

L’occhio pietoso dell’arte, però, ritorna sul corpo abbandonato di Lilìth, procedendo a una specie di silente “exoscopia”, a un esame dettagliato dell’epidermide, della pelle, sotto la pelle, oltre la pelle, a un’amorosa perlustrazione purificante della carne violentata, mentre il rumore del mondo scorre via veloce come il tempo e qualsiasi parola diviene luogo comune, betîse, chiacchiera, sfondo sonoro neutro che alla lunga neutralizza anche quel corpo abusato e persino la stessa violenza, ormai accettata da quasi tutti gli uomini come qualcosa di inevitabile, come una dannazione. Sì, una maledizione, un destino ineluttabile come la morte, incancellabile come una stimmate, insanabile come la gelosia, quella «piaga biforcuta», quella specie di peste che ci viene inflitta nello stesso istante in cui nasciamo, ebbe a dire nel frattempo un altro poeta eterno. Ma ogni gesto, soprattutto quello suscitato dal dubbio, quello arrogante e aggressivo che non vuole e non riesce a riconoscere l’assoluta indipendenza dell’altro da sé, della donna dei suoi sogni, è il prodotto di una ferinità che la cultura umana, specie quando si rende dogmatica, ha più volte suscitato sperando di rimuoverla. La quotidiana violenza sul corpo femminile, sull’altro genere umano, ha quindi la sua spiegazione nel nostro lontano passato, sia nella preistoria immaginata che nella storia vissuta, specialmente in quella riportata nei testi sacri, come pure in quelli non sacri ma che da quelli sacri hanno tratto ispirazione.

La comunicazione del misfatto, poi, quanto più sembra essere preoccupata, tanto più diventa nefandezza, favorendo e accelerando in tal modo la liquefazione e il definitivo oblio del corpo offeso, sul quale, naturalmente, una volta erasa l’immagine umana, l’evento brutale si traduce in affare commerciale soggetto alla legge del mercato, da cui, com’è noto, dipende la saldezza dei sistemi economici e delle stesse nazioni.

Non resta allora che l’attento esame delle lividure esterne e interne, sopra, sotto e oltre la pelle, per cercare di andare oltre il dolore; non rimane che la comprensiva osservazione di quella carne lacerata, di quelle ferite immedicabili, cercando, attraverso quei deboli riflessi di luce che nella notte dei tempi ancora rivelano il corpo ribelle di Lilìth, di ricavare segni con cui formare pazientemente parole, parole nuove per un linguaggio nuovo, grazie al quale gli uomini, i discendenti di Adam, possano finalmente apprendere il modo per superare la loro dannata violenza innata, che è il vero peccato originale.

Questo testo vuole essere una libera interpretazione del video (Sguardo sotto la pelle: https://www.youtube.com/watch?v=mcpDyo9XG4E) che l’artista Lino Budano ha realizzato nel 2005 in collaborazione con Caterina D’Amico e che quest’anno hanno voluto riproporre in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.

Dopo escursioni nel campo della pittura e della scultura, da circa 20 anni Lino Budano si occupa di “ricerca visiva”, dedicandosi al lavoro dell’immagine come contaminazione di generi e di linguaggi diversi.

Il mondo della pictoscultura di Caterina D’Amico sottolinea «il senso di straniamento e disagio dei personaggi che mostrano di subire, senza speranza, un mondo che li opprime, mortificando la libertà e soffocando l’unicità e la personalità individuale, in vista di una ampia, omogenea realtà massificata e senza anima» (Enzo De Paoli).

Ivrea, 26 novembre 2020

Franco Di Giorgi

 

25 novembre 2020

Quaderno CIPEC numero 65

Download “Quaderno CIPEC N. 65 - (Novelle di Danilo Zannoni)” Quaderno-CIPEC-Numero-65-Zannoni.pdf – Scaricato 9142 volte – 6,49 MB


Cari/e tutti/e ho il piacere di comunicarvi che il Quaderno Numero 65 “Scrivere è come vivere, solo che è più semplice” del’amico scrittore Danilo Zannoni ha visto la luce in versione digitale.
Quanto prima, Covid permettendo, avremo anche l’edizione a stampa.

Quaderno CIPEC numero 65, Scrivere è come vivere, solo che è più semplice

Quaderno CIPEC numero 65, Scriveve è come vivere solo che è più semplice

Di seguito due mie righe di introduzione ai bei racconti di Danilo:

Ho conosciuto Danilo Zannoni a fine 2013, poco dopo il mio arrivo/ritorno a Genova, ad una conferenza in cui Antonio Ingroia presentava il proprio movimento, Azione civile.

Lo ho poi rincontrato pochi giorni dopo, alla prima riunione di quella che sarebbe stata la lista l’Altra Europa, bella avventura poi finita nel nulla, dopo un buon inizio.

Ricordo con nostalgia la sede collettiva di via S. Luca, dove si incontravano il circolo Thomas Sankara, pezzi diversi di sinistra, comitati che si erano formati dopo il lontano luglio 2001 (i convegni, le manifestazioni, i “fatti” di Genova, la morte di Carlo Giuliani).

È stato l’inizio di un impegno comune, le elezioni europee del 2014, le assemblee, i convegni, il tentativo di contatti con pezzi di società (ambiente, pace, partecipazione, lavoro), le presentazioni di libri (su Syriza, su Podemos, su Pietro Secchia, su problemi amministrativi torinesi che richiamavano Genova), gli incontri con Vittorio Agnoletto, Alfio Nicotra, l’avv. Flick…, la mancata (per decisioni dall’alto) candidatura di Pagano alle regionali, le solite, immancabili difficoltà successive.

Danilo scrive novelle

Ho scoperto, con una certa sorpresa, che Danilo scrive novelle. Con passione, continuità, puntualità. Una produzione che cresce ogni giorno. Prima su Facebook, poi con un opuscolo “autoprodotto”, ora con questo quaderno che potete leggere in carta e sul sito del CIPEC.

Sono racconti diversi per lunghezza, impostazione, contenuto. A tratti cambia parzialmente anche lo stile. Sono stati presentati in pubblico in alcune occasioni, al circolo “Gramsci” in val Polcevera, alla libreria Ubik di Savona, al circolo ARCI di Ceriale. Poco o tanto il pubblico, è stata l’occasione per tornare sui temi toccati, con cari amici/he, da Rosario con la sua chitarra, alle letture dello stesso Danilo, di Cristina e Antonella. Poi è arrivato il Covid ad impedire altre serate.

È impossibile riassumere oltre 100 pagine di racconti

Fermiamoci sul 30 giugno, data storica per l’antifascismo genovese, incontro di tre generazioni, quella partigiana, quella del 1960, quella di oggi, sconfitta, ma ancora colma di volontà e di speranze. Raccontalo a tuo figlio tocca il tema dei migranti, di chi a loro contrappone l’ordine, l’”uomo forte al comando”, in un mondo in cui le malattie nascono dall’inquinamento, in cui l’unica religione è “lo sviluppo senza se e senza ma” e la tecnologia non è strumento di liberazione.

Il tema torna nel Cormorano. A questo piccolo essere viene consigliato di non volare vicino a quanto costruito dall’uomo, perché l’uomo Qualsiasi cosa tocchi, la distrugge.

Julia e il Caimano è l’incontro tra il grande (il caimano) e il piccolo (la farfalla), tra il mondo visto dal fiume e dall’alto, tra una vita che sta finendo perché mi sento così vicino al buio, al non essere più, perché tutto ciò che mi piaceva…e una esistenza che dura un attimo. I loro cuori smisero di battere all’unisono.

Anniversario

Diverso è il tono di Anniversario. Un amore è finito e il ricordo dell’incontro di dieci anni prima non può riportarlo in vita. Anzi. La donna scopre la propria libertà, un nuovo inizio, il ritorno alla vita.

Padre e figlio ripropone il tema politico, le scelte esistenziali. Danilo legge, per una volta, la realtà da un punto di vista opposto al suo, proprio di quel mondo di quelle classi sociali che non ama.

Si potrebbe continuare. Lascio a chi legge di scoprire e valutare altri racconti, altre storie, altre osservazioni.

Questo quaderno diverso da quelli che ci hanno accompagnato per un quarto di secolo, ci propone per la prima volta, racconti, novelle, osservazioni morali sulla nostra realtà.

Torneremo, nei prossimi, ai temi storici, a presentare documenti, magari aridi, ma che rischierebbero di perdersi se non esistessero queste pagine (fate il conto di quante sono, dal lontano quaderno n. 1, dedicato a Lucia Canova).

Buona e piacevole lettura.

Sergio Dalmasso