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Articolo sui lupi

Franco Di Giorgi Filosofo Al lupo Al lupo

E così, alla fine, a causa della continua, implacabile e distruttiva rivalità tra i guardiani, i lupi e i lupetti, da anni costretti nel loro recinto, si sono trovati inaspettatamente liberi, dinanzi a una prateria sterminata.

Dopo quasi ottant’anni, per eccessiva sicurezza e per alterigia, i guardiani finivano addirittura per giocare con quei lupi, i quali continuamente, con i loro cuccioli, ringhiavano, scalpitavano e zampettavano sempre più vicini alla porta del recinto.

In alcuni momenti poi, facendo comunque attenzione che lo sportello non venisse mai aperto, quasi a scherno e tenendo bene in vista le chiavi del recinto, il gioco preferito dei guardiani era quello, ben noto già da Esopo, di gridare “Al lupo! Al lupo!”

Ostentazione infantile

Questa infantile ostentazione di potere se da un lato rassicurava una parte degli abitanti del paese, dall’altro lato non faceva che aumentare il livore e il mai sopito desiderio di vendetta nei lupi e in quell’altra parte di abitanti che li difendevano.

Ora, però, che nel recinto, in quella specie di Strafkolonie, ci sono loro, cioè i guardiani, che continuano inutilmente a gridare con più enfasi Al lupo! Al lupo!;

ora che, in questo gioco delle parti, i ruoli si sono invertiti, i lupi a loro volta deridono gli ex guardiani con tradizionali frasi ad effetto come “homo homini lupus, suscitando in questi naturalmente altrettanto livore e un mesto digrignar di denti.

Ora, infatti, anche i lupi, i nuovi guardiani, possono finalmente ritornare ad essere quello che sono sempre stati, vale a dire semplicemente dei lupi:

possono cioè finalmente tornare ad ululare ai quattro venti e alla luna o al sole e in pieno giorno quelle parole che per troppo tempo hanno dovuto sottacere e soffocare in deboli guaiti, possono ostentare liberamente quegli atteggiamenti lupeschi che in passato e da reclusi potevano solo accennare o abbozzare…

Resistenza italiana

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Franco Di Giorgi, Ivrea, 30 maggio 2023

 

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Franco Di Giorgi

NOTE A MARGINE DELLA PANDEMIA

Da circa due anni a questa parte, ogni giorno, alla solita ora, con la scadenza e la precisione monotona di una medicina, gli speaker televisivi diffondono le notizie sulla pandemia, quasi nello stesso modo in cui il mal’àkh, il messaggero, le comunica a Giobbe. A pensarci bene, tuttavia non è tanto il loro contenuto nefasto (il numero dei morti o i ricoverati in terapia intensiva) che viene immediatamente recepito e che alla lunga infastidisce, quanto piuttosto la strana accentatura, quasi una vera e propria inflessione, con cui alcuni giornalisti le divulgano. Questo singolare accento fa pensare a una lezione impartita da maestri impettiti, quasi come un rimprovero, una ripetizione risentita per discepoli poco attenti. La monotona prosodia ricorda una cantilena lamentosa e annoiata. Il tono risuona risentito, monitorio, quasi sdegnato, colpevolizzante, offeso, infantile. Ma la cosa che più colpisce e indispone di questa specie di cantilena letargica, di cui peraltro ci si rende conto solo dopo averla quasi inconsciamente registrata, è accorgersi che sia proprio essa, questa accentazione eccipiente ad impedire di comprendere appieno il contenuto, il nucleo delle notizie stesse, specie se date velocemente una dopo l’altra, una sopra altra, senza soluzione di continuità. In tal modo rimane solo il peso, ma non il senso della gravità dei comunicati.

Dati Covid-19 del 15 novembre 2021

Inoltre, per suggerire ancora qualche nota a margine, sembra che oltre ai fragili e agli estremamente vulnerabili, questa pandemia abbia rivelato anche l’esistenza dei non catalogabili, di quelli che sono talmente fragili e vulnerabili da non poter essere sussunti in nessuna categoria, perché pare che per loro qualsiasi vaccino “potrebbe” essere deleterio. La medicina infatti non sa ancora come prendersene cura. Sicché, per essi l’unico rimedio per sopravvivere, più che il distanziamento, rimane l’evitamento, l’asocialità, vale a dire il lockdown permanente; e ciò non solo per il virus e per la paura del contagio, ma soprattutto per quei prodotti chimici che tutti gli altri (parenti compresi) usano normalmente proprio per ragioni igienico-sanitarie.

Ciò premesso, bisognerebbe a questo punto dire in tutta chiarezza che il reale pericolo di morte che pandemie come quella generata dal Covid-19 comportano dovrebbe necessariamente costringere alla temporanea messa in mora del libero arbitrio, vale a dire della facoltà che più contraddistingue l’individualità dell’essere umano, e della quale esso va maggiormente fiero. L’attuale epidemicità è tale infatti che, fatta eccezione per i non catalogabili, la libera scelta anti-vaccinale di un singolo è in grado di mettere a rischio la vita di molti altri, se non addirittura di un’intera comunità. Se, nonostante questa fondamentale esigenza etica, si continua ugualmente a voler esercitare il proprio libero arbitrio, è perché in coloro che lo pretendono l’individualismo non è più solo un’esigenza personale, quanto piuttosto una convinzione ideologica. Infatti, per quanto profonda possa essere l’influenza che un’ideologia può esercitare in una persona, un’esigenza è tuttavia tanto meno personale quanto è più ideologica. E in effetti, quelli che lo scorso 9 ottobre – a perfetta imitazione della preannunciata irruzione del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti (e non sbagliava di certo chi allora pensò subito che una tale irruzione costituiva un buon precedente per altri trumpiani che intendessero reagire al cosiddetto establishment) –, quelli che allora, sfruttando l’individualismo sordido manifestato dalla nebulosa dei No green pass, dei No vax e degli Io apro, hanno (ri)dato l’assalto alla sede della Cgil di Roma, ebbene costoro sono proprio quelli che non sanno cosa farsene della responsabilità sociale. Viceversa, in quanto simbolo del socialismo operaio, la Cgil è da più di un secolo il sindacato sorto dalle società operaie di mutuo soccorso, le quali, esattamente un secolo fa vennero chiuse durante il periodo fascista proprio in ragione della loro connotazione sociale. In questo gesto violento dei neonazifascisti italiani, dai quali quella nebulosa di individualisti No vax non è riuscita a prendere nettamente le distanze – un gesto che prende solo a pretesto il disagio sociale generato dalla pandemia e che ha nell’azione violenta la propria cifra storica –, ecco questo gesto si può leggere come una sorta di kairós, di momento propizio – ricercato, pur in tutta la sua casualità – in cui si intersecano e si intrecciano sorprendentemente due delle direttrici fondamentali della storia del Novecento, costitutive di un Dna, di un ordito storico in cui, come punto e contrappunto, si contrappongono dialetticamente socialismo e individualismo, solidarismo ed egoismo, internazionalismo e nazionalismo, come pure, traslandolo all’oggi, europeismo e sovranismo populista. Con la formula del nazional-socialismo, peraltro, a cui quei facinorosi ancora si ispirano, Hitler seppe in effetti sintetizzare “a suo modo” gli opposti, generando in Germania quel Reich dal quale, grazie a una politica biologica radicale, venne definitivamente eradicata ogni forma di socialismo solidale e internazionale, forma nella quale, com’è noto, si riconosceva buona parte degli ebrei occidentali emancipati e assimilati. Sicché se da un lato, a fronte del fatto che allora, per paura che gli ariani perdessero la loro purezza, l’ebreo (solo a causa della sua ebraicità) venne visto, ridotto, trattato e combattuto dal regime nazionalsocialista come un virus letale, oggi, dall’altro, risulta davvero altrettanto delirante il parallelismo o l’idea di chi pensa che i governi di tutto il mondo invitino le persone a vaccinarsi non per salvarle dal contagio del nuovo virus, ma per costringerle a un totalitarismo politico-sanitario.

Per fortuna, però, al di là di ciò, l’adesione della maggioranza degli italiani alla vaccinazione non sembra affatto il frutto di una semplice costrizione, della cieca obbedienza, del conformismo o dell’allineamento passivo, ma l’espressione di un senso eticamente attivo e partecipe di responsabilità per sé, per gli altri e per tutto quanto il Paese. Per questo, infatti, pur avendone costituzionalmente la facoltà, il governo non ha voluto imporre l’obbligo del vaccino e ha optato per il green pass, per uno strumento giuridico che mira più alla persuasione che all’obbedienza. Il rifiuto dei No vax, pur non essendo questi per la maggioranza non vaccinabili come i non catalogabili, nasce da un anticonformismo di maniera, da una disobbedienza assunta come presupposto infondato e desideroso di produrre una distanza, se non addirittura una distinzione ideologica tra sé e gli altri. Ora, proprio da questo punto di vista, non è forse ingenuo, superficiale, irresponsabile e in definitiva pericoloso scavare e approfondire ulteriormente, con il proprio prendere le distanze dagli altri, il distanziamento sociale e interpersonale che il contenimento del contagio purtroppo richiede? A chi giovano, a cosa servono le tesi complottiste di una tale minoranza disobbediente, se non, appunto, ad alimentare la violenza sociale che contraddistingue storicamente la destra nazifascista? Certo, l’esito del putsch di Monaco serve da monito per tutti; ma non si può continuare a riflettere su una questione (la chiusura di Forza Nuova) su cui, per quanto complessa e delicata, la Repubblica democratica italiana avrebbe dovuto decidere già da tempo, a partire almeno dal 1946, cioè a meno di un anno dalla liberazione dal nazifascismo, a partire dalla fondazione dell’Msi. Ciò induce a ritenere che proprio come allora, cioè dopo la terribile esperienza della guerra, specie quella civile, e soprattutto dopo Auschwitz, ci si era illusi di essersi definitivamente liberati dal fascismo e dal razzismo (con tutto il loro brutale armamentario di muri e di filo spinato), così anche ora, nel tempo penoso del lockdown, ci si andava illudendo che dopo l’esperienza della lotta contro il Covid-19 saremmo diventati migliori o quantomeno più consapevoli dei nostri errori. Ma ce ne hanno appena dato un’amara smentita – ahinoi! – sia il G20 di Roma che il Cop26 di Glasgow. Resi miopi da pressanti esigenze di sopravvivenza immediata, non riusciamo infatti a mettere bene a fuoco che sia i cambiamenti climatici sia la pandemia hanno ormai irreversibilmente crepato i pilastri, i fondamenti della nostra esistenza. Sicché ci è assai comodo a questo punto, sebbene non rassicurante, dire che il futuro verso cui stiamo procedendo ci è sconosciuto, perché dicendo questo ne neghiamo almeno intimamente l’angosciosa pericolosità. Ed è ovviamente difficile se non impossibile giungere a una tale consapevolezza per quei partiti che attingono molti dei loro consensi proprio dall’area dell’estrema destra.

Ben più complesso del semplicistico confronto tra queste due esperienze di lotta (quella contro la pandemia e quella contro la peste nazifascista) è dunque il loro intrecciarsi, il loro riannodarsi proprio in occasione dell’attacco vandalico alla sede della Cgil. Il problema a tal proposito non consiste solo nel chiudere l’acqua ai pesci più agitati, ma nel rendersi conto che nella vasca la tensione sociale può creare un effetto luciferino tale da agitare anche la variegata popolazione di pesci pacifici e pacifisti. Paradossalmente, infatti, i movimenti di estrema destra che hanno vandalizzato la sede della Cgil non sono altro che il frutto amaro del tentativo di defascistizzazione, di normalizzazione e di sdoganamento storico-politico operato da Gianfranco Fini nel 1995 con la svolta di Fiuggi e con la relativa nascita di Alleanza Nazionale, grazie all’occasione d’oro offertagli da Berlusconi l’anno precedente per farne una legittima componente del suo governo delle “libertà”. Anche la svolta della Bolognina, nell’89, causò l’allontanamento dei contrari alla proposta di Achille Occhetto, ma, pur posizionandosi a sinistra del Pds, del neonato Partito democratico della sinistra, non hanno mai manifestato il proprio dissenso violentemente contro i simboli della destra.

A tal proposito non si deve trascurare di aggiungere che l’attuale situazione pandemica costituisce un banco di prova per il nostro altruismo, cioè di quel senso etico che difetta nella mente dei complottisti e che certo fa difficoltà ad esprimersi in tutte quelle persone che per quasi mezzo secolo sono state nutrite con il latte nero dell’individualismo competitivo – una sorta di vaccino, questo sì, approntato ad hoc da stregoni della politica per combattere lo spirito solidaristico.

Comunque sia, al contrario di quanto credono i No vax, l’assalto alla sede di quel sindacato è invece la prova che confuta i loro dissennati confronti con il regime nazista. È del tutto evidente infatti che sono proprio quei facinorosi di destra – troppo disinvoltamente spalleggiati dagli stessi No vax – che si ispirano al nazifascismo, e non la maggioranza dei cittadini italiani vaccinati, i quali, proprio perché rispettosi della legge, vengono considerati dai negazionisti come tanti ubbidienti Eichmann, mentre loro, gli oppositori, oggi si sentono perseguitati come ieri lo sono stati gli ebrei. È inoltre un’evidente assurdità anacronistica quella di assimilare l’attuale governo a un regime dittatoriale, e ciò al solo scopo di giustificare la propria disobbedienza e la propria astensione, spacciandosi come una specie di minoranza eroica. A differenza dei partigiani, però, cioè di coloro che nel recente passato hanno davvero saputo dire di no, con la vita e con la morte, al male dei regimi totalitari, quelli che ora si oppongono alla politica vaccinale dell’attuale governo non possono dire di no al male, al virus, giacché per loro esso semplicemente non esiste, ma possono invece dire di no al bene, cioè ai vaccini, dal momento che, per la ragione premessa, risulterebbero del tutto inutili. In tal modo è chiaro che nemmeno la morte dei 150 mila connazionali potrà servire da prova contraria alle loro costruzioni mentali.

Pur sostenendo quindi contro ogni intuizione che non esiste nessuna pandemia perché semplicemente non c’è alcun virus, i No vax tuttavia continuano a considerarsi come il Covid, cioè come un virus che i governi, con il supporto di volenterosi medici specialisti, stanno cercando di debellare con il vaccino. Da qui nasce il loro avvilente paragone con gli ebrei vissuti sotto il Terzo Reich e la loro assimilazione dei premier, dei capi di stato e dei ministri della sanità a tanti Himmler o Hitler, i quali avevano pur detto che il mondo avrebbe riguadagnato la salute solo liberandosi degli ebrei. Al posto del vaccino è però utile ricordare che i nazionalsocialisti fecero ricorso al Zyklon B, all’ingrediente attivo dell’acido prussico, al gas asfissiante. In tal modo si dovrà perlomeno ammettere che mentre i nazisti volevano eliminare più ebrei possibile, viceversa scopo degli attuali governi (anche se purtroppo non di tutti) è quello di vaccinare, ossia di salvare più persone possibile, anche i No vax. L’obiettivo dei governi è l’immunità di gregge, quello dei nazisti era un Reich judenrein, purificato dagli ebrei. Il progetto dei primi è di salvare tutti, o quanti più esseri umani possibile; quello dei secondi era di salvare non tutti, ma solamente gli ariani, quelli che, secondo loro, erano degni di vivere; non quindi gli ebrei, non tutti gli altri indesiderabili, non gli oppositori, non gli zingari, non gli omosessuali (nemmeno pertanto tutti quelli che oggi si riconoscono nell’acronimo Lgbt), non gli affetti da gravi malattie rare ed ereditarie, i fragili, i vulnerabili, i non catalogabili, poiché per il fatto di essere ritenuti impuri, contagiosi e quindi pericolosi (un tempo qualcuno li definiva “malriusciti”), erano considerati unwertes Leben, vita indegna, cioè esseri la cui vita non aveva assolutamente alcun valore. Proprio come quella, diremmo, degli attuali migranti, rappresentativi di un dato a cui noi stessi ci siamo ormai abituati ascoltando le diuturne nenie lamentose dei cronisti. Gli attuali governi di buona parte del mondo mirano alla guarigione di tutti; per i nazionalsocialisti la Gesundung, la guarigione prevedeva una imprescindibile Judensäuberung, una epurazione degli ebrei razionalmente attuata dai freddi automatismi della burocrazia. I primi cercano in tutti i modi di sfuggire alla morte; i secondi, rendendola moralmente utile sotto forma di eutanasia, ne facevano invece uno strumento di Reinigung, di purificazione.

Inoltre, a differenza degli ebrei, che allora venivano isolati e ghettizzati in vista della loro eliminazione, i No vax, per esprimere il loro dissenso nei confronti della vaccinazione, si auto-isolano. E certamente la loro ostilità nei confronti del green pass sarebbe ben poca cosa rispetto a quella che essi manifesterebbero se il governo italiano avesse adottato la pur legittima misura dell’obbligo vaccinale per tutti. In tal caso essi avrebbero sicuramente inteso questa obbligatorietà del green pass come un provvedimento simile a quello introdotto da Goebbels nel novembre del 1941, con il quale, scrive Zygmunt Bauman in Modernità e Olocausto, si costringevano gli ebrei a portare la stella di Davide come «una misura di “profilassi igienica” (il Mulino, Bologna 1992, pp. 101-108). In tal caso avremmo visto sfilare i contestatori con addosso una stella simile. E così in effetti è stato l’estate appena trascorsa in molte città italiane. Come se utilizzare a piacimento per il proprio tornaconto quei simboli del male assoluto fosse una cosa degna per un’umanità razionale che ha prodotto e conosciuto l’Olocausto. E ciò si deve forse al fatto che le nostre società hanno smarrito non solo il senso dell’indignazione, ma anche il valore stesso della dignità – come pure quello del semplice vivere in un pianeta che l’inappagabile nichilismo della modernità ha reso e rende sempre più inospitale.

Per il governo italiano, poi, i No vax non sono affatto gli “indesiderabili” di cui il Terzo Reich si era liberato con la politica della sterilizzazione e dell’estinzione. Essi sono coloro che, non volendo vaccinarsi e rifiutando mascherina e distanziamento, mettono a rischio non solo la propria vita, ma con essa inevitabilmente anche quella di tutti coloro con cui sono in contatto. Non è un caso, infatti, che in questi giorni di fine ottobre, si registra un aumento dei contagi e di ricoveri proprio nelle città in cui si è manifestato più a lungo il dissenso, in barba alle misure precauzionali. È esattamente per questo motivo che alcuni Stati stanno pensando di attuare un lockdown ad hoc solo per i non vaccinati, mentre altri avanzano addirittura l’ipotesi di far pagare a questi le spese per un loro eventuale ricovero in ospedale. Attraverso l’applicazione del piano vaccinale anti-Covid, l’obiettivo finale dei governanti non è quindi eugenetico, non prevede cioè la selezione di una maggioranza di cittadini vaccinati da cui escludere una minoranza di non vaccinati – anche se, come si è accennato, il perdurare degli assembramenti potrebbe spingere anche il nostro governo verso un lockdown per i No vax. Quando questi ultimi urlano “libertà”, forse non si rendono conto (o si rendono perfettamente conto, secondo lo spirito del “prima gli italiani”) che con ciò essi rivendicano egoisticamente la libertà e il diritto di infettare gli altri; forse non hanno capito che, in casi di emergenza pandemica come quello in corso, le libertà, il libero arbitrio e i privilegi, di cui in altri momenti si può costituzionalmente godere, debbono, come si è accennato, essere temporaneamente e responsabilmente sospesi, posti – non dai governi e dalla politica, ma dalla coscienza di ogni singolo individuo! – in secondo piano per il bene dell’intera comunità. Questo l’umile insegnamento resiliente della natura violentata da un’umanità irriguardosa e antropocentrica, la quale sin dall’inizio ha fatto del suo diritto uno strumento di dominio, vale a dire un elemento contro natura. Certo, in società da tempo strutturate sul diritto all’individualismo competitivo, per molti è ancora difficile applicare su di sé questa epoché, compiere questo temporaneo autoporsi fra parentesi, fare questo passo indietro. Sembra però che gli italiani (già vaccinati, peraltro, quasi al novanta per cento) stiano superando questo genere di difficoltà e siano disponibili anche per una terza dose. In sostituzione del vaccino, messo a disposizione gratis dallo Stato, ai riottosi viene data la possibilità del tampone, pagato giustamente a loro spese. Sicché, eccezion fatta per coloro che hanno seri e fondati motivi per non vaccinarsi, ad un operaio, ad esempio, converrebbe vaccinarsi, per non andare a intaccare con un tale esborso aggiuntivo la sua già leggera busta paga.

Ciò per dire che è del tutto fuori luogo fare ricorso ai paragoni con il dramma vissuto dagli ebrei e dagli altri deportati al solo scopo di dare maggiore rilevanza e legittimazione alla propria protesta. Si tratta, in realtà, per così dire, di stereotipi “rovesciati” di sinistra, nel senso che fanno il verso agli stereotipi antisemiti di cui si servono notoriamente gli oppositori dell’estrema destra per fomentare nelle masse impoverite l’idea del complottismo elitario, dietro cui opererebbe di nascosto un subdolo burattinaio, un manovratore occulto che nella percezione della folla esagitata, a seconda delle occasioni, assume l’aspetto ora del capitalista ora dell’industria farmaceutica. Non ci vuole nulla in tali situazioni a passare dallo stereotipo dell’ebreo-vittima a quello dell’ebreo-responsabile, dal filosemitismo all’antisemitismo, dal filoisraelismo all’antiebraismo. È bastato poco infatti a trasformare una protesta contro il green pass in un assalto contro la sede di un sindacato, l’antagonismo di sinistra, civile e pacifico, in un antagonismo di destra, incivile e violento. E bene hanno fatto a questo proposito gli organizzatori della protesta triestina ad annullare alcune manifestazioni per timore di infiltrazioni da parte di antagonisti filofascisti. «In effetti – non lo diciamo noi, lo diceva già Bauman in quel suo saggio del 1989 – sarebbe opportuno evitare la tentazione di utilizzare l’immagine disumana dell’Olocausto al servizio di un atteggiamento partigiano verso conflitti umani più o meno gravi» (op. cit., p. 129). Di recente, infatti, per ostentare la loro presunta e infondata condizione di vittime, i dimostranti No vax, oltre ai gilet gialli e alle stelle gialle, hanno indossato anche una specie di giubbotto che ricorda la divisa dei deportati. Ma proprio questa assenza di ritegno nei confronti delle vittime dell’Olocausto (si veda il caso di Anne Frank, o quello, ancora più recente, della senatrice Segre, costretta da due anni ad essere scortata solo per aver proposto una legge che contrastasse i fenomeni di razzismo, di antisemitismo, di istigazione all’odio e alla violenza), ebbene proprio una siffatta assenza di scrupolo fa pensare che questo loro movimento, così connotato, sia anche l’espressione di elementi che si ispirano ancora, purtroppo, alla politica razziale adottata dagli ex carnefici.

A differenza che nel Terzo Reich, qui non c’è nessuna istigazione all’odio nei confronti dei No vax; c’è piuttosto un invito alla pazienza e alla resistenza, c’è una legittima campagna di convinzione per uscire quanto prima dall’emergenza della pandemia. È nei No vax, piuttosto, che, sentendosi esclusi, vittime di un nuovo totalitarismo politico-sanitario, si trovano espressioni di odio ingiustificato e irrazionale verso tutti coloro che promuovono la campagna vaccinale. Possibile che non provino alcun pudore quando esprimono il loro dissenso facendo ricorso ai simboli dell’Olocausto? Forse i No vax non conoscono abbastanza quel tremendo capitolo della recente storia europea. Possibile che non si rendano conto che questo loro gesto è un affronto verso tutte le vittime e verso gli ultimi superstiti di quella politica razziale? E se scopo di quei cosiddetti infiltrati fosse proprio quello di voler sporcare ancora una volta la memoria e l’immagine di quelle vittime, ebrei e non ebrei? Il sospetto non sarebbe ingiustificato se torniamo emblematicamente con la mente ancora una volta all’uso riprovevole che qualche anno fa (nel novembre 2017) alcuni tifosi di calcio hanno fatto dell’immagine di Anne Frank: gli stadi infatti (ma non solo) sono ormai diventati un po’ dappertutto pericolosi terreni di coltura. Ecco perché l’offesa arrecata alla memoria delle vittime non può provenire che da coloro che irresponsabilmente continuano a supportare la posizione dei carnefici. Ma questo contrasta con la critica che la maggioranza dei No vax rivolge al governo, la cui politica sanitaria, come si è detto, è da essa sentita come una forma attuale di totalitarismo. Perché delle due l’una: o si critica o si ha nostalgia del totalitarismo. Ciò lascia supporre che il movimento No vax sia composto da almeno due anime, le quali utilizzano impudicamente i simboli della Shoah per motivi contrastanti: la prima perché si sente una vittima e quindi accusa il governo di nuovo totalitarismo; la seconda perché può sfruttare questo uso del tutto improprio e indegno per sporcare a suo vantaggio il ricordo delle vittime e per rivalutare di riflesso l’immagine dei carnefici. Ad ogni modo, l’odio che entrambe le anime esprimono non è affatto a somma zero, ma, proprio come temeva Primo Levi, si esalta e talvolta, come nell’opaco episodio dell’assalto alla sede della Cgil, esplode in aperta violenza. Con le loro manifestazioni, insomma, specie con quelle del tutto inopportune nelle quali fanno ricorso ai simboli della deportazione nazista, i No vax vorrebbero dire che si sentono trattati come vittime della dittatura vaccinale, come dei “sommersi” rispetto a tanti “salvati”, e che questi si sarebbero piegati e omologati a quella politica totalitaria. È per tali motivi che essi credono di rappresentare anche una minoranza eroica, capace di resistere al potere che fa leva su una maggioranza prona e accondiscendente.

Una cosa in ultima analisi sembra tuttavia evidente: la benevola propaganda governativa anti-Covid ha creato suo malgrado nel Paese una spaccatura tra la maggioranza dei Sì vax e la minoranza No vax, tra positivisti e negazionisti. Una fenditura certamente nuova dal punto di vista epidemiologico, ma che è servita alla destra facinorosa come ennesima occasione per ritornare a rimestare nella ferita storica, della quale i suoi adepti auspicano non la guarigione, ma la recrudescenza. Il vasto fronte dei primi, sulla scorta delle indicazioni scientifiche, crede che per fronteggiare il Covid-19, oltre al distanziamento fisico, l’unica soluzione praticabile sia il vaccino – anche nella prospettiva di doverne fare annualmente il richiamo, alla stessa stregua del vaccino anti-influenzale (a cui sorprendentemente ricorrono anche molti No vax). I secondi, sulla base di indicazioni che essi reputano altrettanto scientifiche, sono convinti invece che il virus non esista, che sia solo una montatura, un’invenzione (comprese le stesse varianti) approntata ad hoc da potenti case farmaceutiche, dietro le quali (secondo il più classico dei modelli di complottismo) opererebbero forze occulte e poteri oscuri allo scopo di mettere in ginocchio e asservire ad essi il mondo intero. Per queste ragioni, essi ritengono che, pur ammettendo l’esistenza del virus, anche nella sua forma artificiosa o sintetica creata in laboratorio, l’infezione si possa curare con farmaci alternativi al vaccino, con una terapia da seguire comodamente a casa, senza andare necessariamente in ospedale. Ma il loro scetticismo radicale non riguarda solo l’efficienza o la realtà del vaccino. Esso ha di mira anche il numero dei deceduti nella pandemia, perché i No vax credono compatti a un’altra vulgata: sostengono che, tra gli oltre 250 milioni di contagiati nel mondo, molte dei 5 milioni di persone falciate dal virus in meno di due anni sarebbero decedute per altre malattie, solo che, dicono, vengono registrate come morti per Covid. E ciò, ribadiscono, perché si vuole imporre il vaccino, la cui diffusione frutterebbe ingenti guadagni alle multinazionali del farmaco e tanto potere alle forze politiche occulte. Rassicuranti queste teorie dietrologiche, ma è probabile che per essi saranno valide finché il mal’àkh non verrà a bussare anche alla loro porta.

Ivrea, 15 novembre 2021

 

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L’ITALIA AL TEMPO DELLA PANDEMIA, TRA DEMOLITORI E COSTRUTTORI

Franco Di Giorgi

O Freunde, nicht diese Töne!

Prima di scivolare anch’esso nel nulla del tunnel dentro cui il Covid-19 ci ha risucchiati e rinchiusi, il vuoto di lunedì e martedì 18 e 19 gennaio è stato colmato dalla lunga diretta televisiva sul dibattito parlamentare in merito a quella che, a detta di molti, resta una crisi di governo “incomprensibile”.

Antonello da Messina. San Sebastiano

Antonello da Messina. San Sebastiano 1478-1479

Dopo circa un anno di enormi e straordinari sacrifici determinati dalla triplice crisi (sanitaria, economica e sociale), dopo il triplo salto mortale quasi del tutto senza rete, senza copertura, a cui ognuno di noi a causa della pandemia è stato sottoposto, anche in vista degli altri anni altrettanto difficili che nonostante il vaccino ci attendono, ebbene proprio in questo naturale momento di stanchezza e di sfinimento, dalla chiarificazione parlamentare della crisi politica (che da tempo covava come un’infezione trascurata) ci si sarebbe aspettati dei toni più pacati, più comprensivi e concilianti, soprattutto in rispetto delle oltre ottantamila vittime mietute dal Coronavirus. E invece i toni aspri e aggressivi usati dai rappresentanti dell’opposizione ci hanno oltremodo avvelenato quelle due giornate, le hanno reso ancora più grigie e amare, costringendoci più di una volta a voltarci dall’altra parte colmi di disgusto e di vergogna mandando con un gesto quei politicanti a quel paese, inducendoci non a tapparci il naso ma ad abbassare e poi a togliere il volume della televisione e qualche volta addirittura a spegnerla. Eppure sapevamo già del comportamento del tutto ingiustificato, inadeguato e ostacolante mantenuto dalle opposizioni durante l’attività svolta perlopiù in apnea dal governo nel cercare di evitare il peggio, nel chiedere e nel trovare aiuti e ricoveri all’Europa. E ci chiedevamo già allora se, in un momento simile, in cui tutto un popolo viene chiamato a compiere uno sforzo comune, era possibile accettare un comportamento così disdicevole e (esso sì) incomprensibile da parte della nostra italica opposizione, incurante del numero dei morti che cresceva ogni giorno, dapprima nel nord, nella laboriosissima Lombardia, e in seguito, dopo il primo esodo invernale e soprattutto dopo quello estivo, anche nel sud e in tutto quanto il Paese.

Insopportabile, assurdo e offensivo era ed è nel frattempo l’atteggiamento negazionistico adottato dagli oppositori (e non solo da essi, purtroppo) sia contro l’esistenza stessa del virus sia contro i numerosi Dpcm. E ciò all’unico scopo di non consentire che venisse rallentato o addirittura arrestato il veloce e vorticoso movimento generato da quel loro microcosmo industrial-affaristico, in cui gli uomini sembrano condannati a ricavare un utile sempre maggiore di quello necessario per vivere. Un microcosmo in cui anziché il bene si ricerca affannosamente il benessere; in cui tutto, come in un immenso gorgo, viene triturato e visto come occasione di investimento, di guadagno immediato, di reddito, qualcosa in ogni caso di utile, di utilizzabile. Come se il loro sordido utilitarismo li spingesse all’eccedenza e all’eccessivo, a un’avidità incoercibile, a un volere tutto di tutto e di più. Un tutto che una volta ottenuto diventa subito niente. Un utilitarismo nichilista, dunque, la cui eccessività si riflette e trova il suo immediato canale espressivo nel loro linguaggio dai toni insopportabilmente eccessivi. Un linguaggio che considera tutto alla stessa stregua, che viene usato come un’arma, perché non fa differenza alcuna, non pone limiti all’indecenza e che prova anzi piacere nell’esagerazione offensiva. Ne abbiamo avuto l’ennesima riprova durante il dibattito in Senato quando i baldanzosi esponenti della destra – dallo sguardo da ballestero, ci verrebbe da dire con Revelli – facevano a gara nel dirla più grossa, nel toccare i punti deboli, nell’offendere le persone, specie quelle che andrebbero invece massimamente rispettate per il loro passato, per la loro storia, che è la nostra storia, la storia di tutti, compresi quegli stessi deputati e senatori utilitaristi, nichilisti e negazionisti.

D’altronde è chiaro: l’esecutivo ha commesso degli errori nell’affrontare le emergenze determinate dalla pandemia. Ma è altrettanto chiaro che chi si è trovato ad operare in quei momenti difficili non poteva esimersi dal commetterne. Specie per le evidenti e pregresse carenze del sistema sanitario nazionale, sia nel settore pubblico sia soprattutto in quello privato. Tutti avrebbero potuto commetterne. Chi più, chi meno. E la sorte questa volta ci è stata clemente, perché nelle folli giravolte dei governi e dei loro fantasiosi rimpasti ci ha trovati affidati nelle mani di persone sì giovani e forse ancora inesperte, ma quanto meno responsabili e dal volto umano. Certo, compito dell’opposizione è di esprimere contrarietà, obiezioni, proporre correzioni, integrazioni, alternative, come pure di manifestare sfiducia, qualora la maggioranza governativa in carica se la meriti. Ci sono tuttavia modi e modi. I suoi rappresentanti avrebbero infatti non già potuto (perché questa possibilità è a essi negata dal loro radicato utilitarismo) ma dovuto motivare il loro disappunto usando altri toni: i toni certamente severi e risentiti della critica politica, ma espressi in maniera pacata e rattenuta, propria della serietà e della responsabilità, i toni velati della mestizia che la tragedia del momento richiede, quelli della riflessione e dell’analisi rigorosa, non quelli indignati e offensivi, livorosi e aggressivi intonati dalla voce rasposa del puro cinismo demolitore. E ciò sia da parte delle componenti maschili sia (e questo ci ha sinceramente sorpresi, costringendoci a togliere il volume alle loro voci piene di veleno) di quelle femminili, all’unico scopo, appunto, di demolire quel poco di stabilità che il governo, in carica da circa un anno e mezzo, consente.Veleno di serpenti sotto le loro labbra. Piena di maledizione e di amarezza la loro bocca. Rapidi i loro piedi a versare sangue. Distruzione e disgrazia sui loro cammini. E il sentiero della pace lo ignorarono”: queste le parole che ci venivano in mente mentre, combattuti, seguivamo quella diretta. Sono quelle che Paolo di Tarso riporta nella Lettera ai Romani mutuandole dai Salmi e da Isaia.

In questa nuova circostanza, a far da testa d’ariete per loro, per oppositori di tal risma, è proprio quella del leader di Italia viva (a cui un adulatore si è rivolto chiamandolo ancora Presidente), il quale in questa sua triste esibizione, in questo suo tanto premeditato quanto sconveniente scatto d’orgoglio, ha certamente dimostrato a tutta l’assemblea chi era, di che pasta era fatto, quanto dura fosse la sua cervice e soprattutto quanto implacata ancora fosse la sua sete di vendetta per la sconfitta subita nel 2016. Nel suo tanto atteso discorso al Senato (lungo più di 20 minuti) ha usato modi, toni e termini sorprendentemente simili a quelli utilizzati dagli sdegnosi esponenti di Forza Italia, di Fratelli d’Italia e della stessa Lega, il cui motto è ovviamente “prima l’Italia e gli Italiani”. Nel suo esordio accusatorio, ossia nella sua autodifesa o, meglio, nell’apologo di sé, in una sorta di contorsione sofistica, tanto assurda quanto tragica, in cui tentava di trasformare la sua pur patente irresponsabilità in un atto responsabile, egli diceva ad esempio che occorre un “governo forte”. E in effetti, già quella analogia terminologica, il comparire del termine “Italia” in tutte le sigle dei partiti sopra citati, prelude e lascia immaginare che una certa vicinanza, una certa affinità tra di essi già esista, nel caso un domani si volesse pensare di creare un piccola coalizione alla tedesca, un patto politico per il Paese.

Certo, ben altri nel recente passato sono stati gli spettacoli indecorosi inscenati dalle medesime componenti politiche in quella stessa Camera o al Senato. Ma allora nell’aria c’era odore di mortadella e dinanzi agli occhi eccitati e golosi di alcuni membri del Parlamento oscillavano corde annodate a mo’ di cappio, e in ogni caso in quel tempo di sfascio nella memoria, nell’animo di quei rappresentanti non poteva albergare lo sconforto luttuoso dell’inarrestabile e silenziosa conta dei morti di cui ogni giorno essi pur fanno esperienza. Comunque sia, in questi due giorni si è ripetuto l’identico rituale, lo stesso meccanismo vessatorio, la medesima corsa al massacro, l’incontrollabile e contagioso dare addosso a chi, pur ammettendo platealmente di aver commesso sbagli, ha tuttavia svolto un lavoro assai duro, dei cui frutti però potranno avvantaggiarsi e beneficiare tutti gli altri, anche quelli che mentre guardavano dalla finestra intanto l’ostacolavano allungando, dove possibile, una gamba per fargli lo sgambetto. Durante le loro odiose invettive, era peraltro fin troppo evidente che questi politici della demolizione potevano impostare le loro voci raspose e graffianti, rafforzare le loro lingue intrise di odio, proprio da questo vantaggio già acquisito, cioè da quel grande mucchio di denaro che, come una grande torta, l’Europa ha per la prima volta promesso all’Italia come fondo per la ripresa. Dopo essere riuscito ad ottenere questo sostegno finanziario, ora dunque, secondo i risentiti membri dell’opposizione, il capo del governo dovrebbe farsi da parte. Be’, troppo comodo. È peraltro molto probabile che senza la garanzia di questo supporto essi non avrebbero usato gli stessi toni livorosi, ma se ne sarebbero stati zitti, come in effetti hanno fatto nonostante tutto il loro incontentabile e incontenibile strombazzamento, finché non l’avesse ottenuto. Finché, diciamo così, non avesse portato a termine il lavoro difficile e pesante. Il lavoro “sporco”. A tal proposito, fra i tanti interventi efficaci emersi dai banchi dei sostenitori del governo, ha certamente colto nel segno quello in cui si precisava che mentre al governo interessava ottenere il Recovery Fund, all’opposizione strepitante importava più che altro possederlo. E in effetti, quella a cui abbiamo assistito in due giorni trascorsi davanti alla televisione, è stata una lunga, monotona e stomachevole liturgia politica, una partita di colpi e contraccolpi giocata tra demolitori e costruttori, tra chi voleva distruggere la figura tragica del capo del governo (simile in questo penoso frangente a un San Sebastiano di palazzo Chigi, santo la cui memoria per la Chiesa cattolica ricorre proprio il 20 gennaio) e chi ogni volta cercava di ricomporla. Era un dibattito che assomigliava a una simulazione di guerra. A uno scontro tra due avversari che, pur coabitando nella stessa casa, si trattavano come nemici a causa del diverso modo di impostarne la gestione. Alle sempre più scomposte e monocordi accuse degli smantellatori, il Presidente del Consiglio (a cui, per sminuirne il valore, la rabbiosa segretaria di Fratelli d’Italia, si riferiva con il semplice appellativo di “avvocato”) nella sua replica ha reagito con composte e puntuali elencazioni delle cose già fatte dal governo, non dimenticando alla fine, a proposito del ritardo nell’incarico per gli appalti, di prospettare il concreto rischio di pericolose infiltrazioni mafiose.

Il rancore verde-scuro contro questo governo giallo-rosso discende forse da due motivi. Anzitutto dall’invidia, come si è accennato, di essere riuscito, esso, ad ottenere dall’Europa quella fiducia che i precedenti governi non si sarebbero mai neppure sognati: sia quelli guidati da esponenti del centro-destra (incancellabili le pessime figure del capo condominio della Casa delle libertà al Parlamento europeo e non solo), sia quello guidato dall’ex segretario del Pd (il quale verrà forse ricordato per il suo “Stai sereno Enrico” e per aver cancellato l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori), sia infine quello giallo-verde, in cui il ministro degli Interni, in quanto sovranista, era ed è dichiaratamente antieuropeista. Ma davvero, domandava a conferma di ciò una senatrice del Pd, si sarebbe ottenuto il fondo con un governo sovranista? L’altro motivo di livore si può riscontrare nel fatto che nei gravi problemi che l’attuale esecutivo fa fatica a risolvere, gli sfascia-governi scorgono la loro stessa incapacità, rivedono cioè quegli stessi problemi che loro hanno lasciato in eredità al nuovo governo, problemi che non solo non sono stati capaci di risolvere, ma che hanno addirittura contribuito ad aggravare ulteriormente.

Ad ogni modo, i termini che in quella lunga seduta parlamentare sono filtrati con maggiore frequenza attraverso le mascherine traballanti dei depurati e dei senatori sono stati due: “incomprensibilità” e “irresponsabilità”, riferiti ovviamente alla decisione presa dal partito più piccolo della coalizione governativa. Grazie al cui contributo, tuttavia, era nato il governo Conte 2, dopo la fine del precedente esecutivo determinata dalle intenzioni esplicitamente autoritarie del segretario della Lega, il quale, si ricorderà, per poter risolvere i problemi che affliggono il Paese, e approfittando dei pur larghi consensi ottenuti sulla questione immigrati, chiedeva agli Italiani di poter avere pieni poteri.

Dell’irresponsabilità abbiamo già accennato a proposito non tanto del trasformismo politico, ma del funambolismo semantico, perché, come si è già detto, proprio uno dei sostenitori di quella scelta scellerata, di quell’azzardo politico, cioè uno degli irresponsabili, sosteneva che la loro decisione sarebbe stata dettata da un atto di responsabilità, al fine di stimolare il governo a far meglio e più in fretta. Ma il risultato, sotto gli occhi di tutti, è stato purtroppo quello di averne rallentato l’azione. Peggio ancora: è stato quello di aver distolto temporaneamente l’attenzione e con essa anche il volto dal problema principale, di fare del dibattito politico una distrazione, tanto gradevole quanto pericolosa, dal dramma della pandemia. A proposito della leggerezza con cui sono state usate le parole in quel tempio laico della parola che è il Parlamento, a un certo punto, addirittura, una senatrice di Forza Italia ha sbottato impudicamente dicendo che il Consiglio dei Ministri approfitta delle difficoltà generate dalla pandemia per restare attaccato alle poltrone. Come e quanto deve essere contorta la mente di una persona per concepire una diavoleria simile? Davvero così poco pesa la sostanza della sua coscienza? E soprattutto, si può giocare, si può speculare così con la vita e con la morte degli esseri umani? Fino a che punto si può essere insensibili alla pietà per i morti? Si tratta peraltro della stessa persona che, per rimarcare l’inesperienza politica del Presidente del Consiglio, con una metafora eccessiva e scabrosamente materiale lo definisce “vergine”. A rincarare ancora la dose, per rimarcarne il supposto trasformismo, a darle manforte un senatore di Fratelli d’Italia che definisce “liquida” la personalità del Presidente. Anche perché, aggiunge, eccedendo nei toni sprezzanti e offensivi rivolti più alla persona che alla funzione, “non è un’aquila”, ma “un’anatra zoppa”. Bene ha fatto pertanto il Presidente nella replica, rispondendo pacatamente sulla questione delle poltrone che l’importante non è tanto occuparle o mantenerle, ma sedervisi con “dignità e onore”.

Da quanto si è detto si può pertanto desumere che per la coalizione governativa la grave responsabilità degli irresponsabili azzardosi dipende da due gravi ingenuità: in primo luogo nel non essersi resi conto che l’apertura della crisi politica potrebbe mettere in serio pericolo gli aiuti europei e con ciò stesso l’intero sistema Paese; e in secondo luogo nel non prevedere che quella mossa azzardata potrebbe consegnare l’Italia ed eventualmente gli stessi 209 miliardi del Fondo nelle mani della destra, di questa destra ingorda di potere, nel malaugurato caso in cui si dovesse andare ad elezioni anticipate. Non è detto infatti che vi si vada. Ma un calcolo anche approssimativo dà subito l’idea della compattezza del centro-destra. Ecco il motivo che ha responsabilmente spinto un senatore del Psi a rompere la sua alleanza con Iv, a prendere le distanze da quello che egli stesso ha denominato “azzardo non condivisibile”, e a dare quindi il suo sostegno al governo. Anche un esponente del M5s ha definito gioco d’azzardo quello del Giamburrasca toscano (così lo definisce Augias), ma ha in più avvertito che la cooptazione dei cosiddetti “responsabili” in questa nuova guerra tra guelfi e ghibellini, tra nazionalisti e internazionalisti, tra demolitori e costruttori si potrebbe rivelare un sorta di cavallo di Troia. Nel senso che gli astiosi e astuti achei potrebbero usarli per impossessarsi della rocca di Ilio.

Quanto infine all’incomprensibilità di quella strana mossa sulla affollatissima scacchiera della politica italiana, certo del tutto indecifrabile essa è subito parsa a molti politici. Una mossa laterale e latente, tipica del cavallo, dettata da ragioni non solo politico-strategiche, ma anche psico-politiche. Non vogliamo qui tornare su queste ultime, ossia sui noti aspetti caratteriali del soggetto, del giocatore d’azzardo. Più interessante è piuttosto soffermarsi sulla trama politica che con quella manovra avrebbe voluto tessere e realizzare. Non è tanto difficile da cogliere e da comprendere. Avrebbe voluto sparigliare il tavolo del governo affinché lui, che ne ha favorito la nascita, e i componenti della sua piccola ma imprescindibile squadra, potessero avere un ruolo chiave nella gestione dell’emergenza. Perché lui, con la sua annosa esperienza politica alle spalle, fatta dei già citati momenti gloriosi, si ritiene in queste cose più capace di un semplice “avvocato”. Lui, che certamente dirà che la sua astensione è stata anch’essa motivata da un atto di responsabilità. Mentre invece non è, lo si comprende facilmente, che un modo come un altro per lasciarsi aperta una porta dalla quale potrebbe essere ripescato per via di qualche strano calcolo di palazzo. Nel caso in cui poi questa porta non riuscisse a dischiudersi (ecco un altro elemento della sua comprensibile trama), potrebbe aprirglisi, lo abbiamo già accennato, la finestra, il possibile spiraglio di un governo di solidarietà nazionale in una coalizione partitica a guida centro-destra. Col rischio, in quest’ultimo caso, che nel momento in cui si andrà alle urne, nel 2023, egli sarà costretto a ripassare all’opposizione, visto che molto verosimilmente il centro-destra riuscirà a governare con le sue sole forze. Ma chi se la sentirà, chi avrà l’ardire allora nel centro-sinistra di stipulare un nuovo patto di legislatura con questo senatore poco affidabile, con questo nuovo Don Chisciotte della politica? Egli, come si è visto, ama il rischio, l’impresa ad effetto. Anche se a rischiare non è tanto e solo lui, ma anche l’insieme dei Sancho Panza, cioè l’intero Paese. E se crede, come dice il poeta, che è dal pericolo che potrebbe nascere la sua salvezza, noi da parte nostra confidiamo che pur nella sua costitutiva balnearità questo governo parlamentare abbia comunque in sé la capacità di sottrarci alle grinfie del nulla, di portarci tutti quanti, prima o poi, fuori dal buio, lungo e noioso tunnel della pandemia. Ma questo esito positivo, ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, dipenderà anche da noi. Soprattutto da noi.

Ivrea, 23 gennaio 2021