Esplora il pensiero di Sergio Dalmasso, storico e scrittore impegnato, proveniente dalla nuova sinistra e attualmente membro del Partito della Rifondazione Comunista. Con una vasta produzione letteraria, Dalmasso ha scritto 9 libri che spaziano dalla storia della sinistra italiana al ritratto di figure chiave come Lucio Libertini, Lelio Basso e Rosa Luxemburg.

Tra le sue opere più recenti, spicca ‘RIFONDAZIONE COMUNISTA’ (Ed. RedStar Press, Roma, 2021), un’analisi approfondita sullo stato attuale del movimento comunista.
Approfondisci la storia della sinistra italiana con ‘LUCIO LIBERTINI. Lungo viaggio nella sinistra italiana’ (Edizioni Punto Rosso, Milano, 2020) e scopri la vita e le opere di Rosa Luxemburg con ‘UNA DONNA CHIAMATA RIVOLUZIONE’ (RedStar Press, Roma, 2019).

Sergio Dalmasso ha contribuito in modo significativo alla comprensione della storia politica e sociale italiana, focalizzandosi su figure come Lelio Basso e esaminando la rifondazione comunista dallo scioglimento del PCI al ‘movimento dei movimenti’.

Con libri come ‘Il PCI dalla legge truffa alla morte del migliore’ e ‘Il caso Manifesto e il PCI degli anni ’60’, ha analizzato criticamente momenti cruciali nella storia politica del paese.

Il suo impegno nella divulgazione storica si riflette anche nella cura dei Quaderni semestrali del CIPEC, giunti al numero 72 nel 30° anno di pubblicazione (2024) e tanto altro. Esplora gli scritti di Dalmasso per accedere a un ricco patrimonio di conoscenze sulla storia politica italiana e alla vasta produzione letteraria di Sergio Dalmasso.

Articoli

Scioglimento PCI

Sergio Dalmasso sullo Scioglimento del PCI

 

Sergio Contu Video-intervista Sergio Dalmasso sul tema “Scioglimento del Partito Comunista Italiano”.

Processo di scioglimento avvenuto con la Svolta della Bolognina (iniziata il 12 novembre del 1989) di Achille Occhetto ultimo Segretario nazionale del PCI. Il 9 novembre del 1989 vi era stata la caduta del muro di Berlino.

Svolta che porterà il 3 febbraio 1991 allo scioglimento del Partito Comunista Italiano e alla sua confluenza nel Partito Democratico della Sinistra (PDS).
XX CONGRESSO DEL PCI apertosi il 31 gennaio del 1991 a Rimini.

Alla mozione del segretario OCCHETTO si oppose il cosiddetto “Fronte del No”, capeggiato da Armando Cossutta e sostenuto da Alessandro Natta, Pietro Ingrao, Sergio Garavini e Fausto Bertinotti.

Un gruppo di delegati di quest’ultimo fronte, tra cui Cossutta e Garavini (ma, almeno inizialmente, non Pietro Ingrao e Fausto Bertinotti) decise di non aderire al nuovo partito.

Il fronte del no diede vita ad una formazione politica nuova, che mantenesse il nome ed il simbolo del vecchio Partito Comunista Italiano: il 15 dicembre 1991 nacque così il partito della Rifondazione Comunista.

Il 2021 è il 30-esimo anno dallo scioglimento del PCI e il 30-esimo anno di vita del Partito della Rifondazione Comunista.

Scioglimento PCI. Achille Occhetto svolta della bolognina

Governo indecente

 

Governo Draghi indecente e altro

Governo Draghi indecente e altro

Download “Governo Draghi indecente e altro” governo-indecente.pdf – Scaricato 17131 volte – 72,82 KB

È stato formato un governo indecente, in cui ogni partito ha tradito il proprio elettorato:

– Mai faremo alleanze con i partiti e apriremo il parlamento come una scatola di tonno. Mai con il partito di Bibbiano. (5S)

– Mai con la sinistra “comunista” (sic!) e con l’Europa delle banche.

– Votateci per fare argine alla destra eversiva e per sconfiggere Berlusconi e Salvini (PD).

– Votateci per colorare di progressismo e di verde la sinistra (LEU).

È la più grande operazione di TRASFORMISMO, di inganno dell’elettorato. È la più grande operazione, legata all’indegno meccanismo elettorale, che fa dire: “La politica è una cosa sporca”, “sono tutt* eguali”.

Aumenteranno la disaffezione, il disinteresse (perché andare a votare? Perché partecipare?) e il successo della donna madre cristiana e fascista che si è smarcata dal coro generale.

La stessa scelta dei/delle ministr* fa temere il peggio per il pubblico impiego, per la scuola, sempre più privatizzata, per la sanità, sempre più aziendalizzata. Il mezzo milione di posti di lavoro persi in un anno rischia di moltiplicarsi.

L’UNITA’ di AZIONE di forze politiche, sindacali, associative, di singole persone che non si sentono omologate dal pensiero unico è più che mai indispensabile. Un INCONTRO on line, misto… nella forma che si vorrà definire, non può essere ulteriormente rimandato. Sarebbe opportuno un forte segnale nazionale, ma iniziamo dalle situazioni locali.

2) L’indegno pronunciamento (tra l’altro sgrammaticato e incoerente) del comune di Genova sull’anagrafe antifascista e anticomunista merita una risposta non solo con comunicati e articoli (ricordo sul “Secolo XIX l’articolo di Antonio Gibelli, la lettera del sindaco di Stazzema, l’intervista ad Angelo d’Orsi), ma richiederebbe, con i limiti imposti dalla zona arancione, un PRESIDIO davanti a Tursi.

La cosa deve essere preparata seriamente, ma è dovere collettivo organizzarla. Chi batte il primo colpo?

3) sabato 13, a Cogoleto manifestazione di protesta contro il saluto romano di tre consiglieri, nel corso di un recente consiglio comunale. Folta partecipazione. Persone arrivate anche da qualche comune vicino. Bandiere. Rabbia, sconcerto a cui si somma anche la delusione per il voto del consiglio comunale di Genova (maggioranza di destra, astenuto (sic!) il PD sull’anagrafe antifascista e anticomunista. Breve saluto della presidente locale dell’ANPI, breve discorso del sindaco, intervento del presidente provinciale dell’ANPI che, al termine dell’intervento dice: “la manifestazione è chiusa”.

A parte la sorpresa, per la manifestazione più breve della storia, si nota come la volontà di partecipazione, la rabbia, la delusione, la volontà di trovare risposte di tante perone rimanga delusa.

Timore che qualcun* ricordi la indecorosa astensione al consiglio di Genova? Preoccupazione che qualcun* ricordi come “la sinistra” sia al governo con una destra indegna e indecorosa? Timore di interventi “estremistici”?

In ogni caso, ricordiamo ancora come l’estrema destra non si affronti con discorsi più o meno retorici, ma solamente con politiche che affrontino i grandi nodi sociali (disoccupazione, precarietà, scuola laica per tutt*, questione ambientale, pace …).

Frenare o bloccare il bisogno di partecipazione e di protagonismo di centinaia di persone non è certamente la risposta migliore.

Genova, 13 febbraio 2021, ore 20:00

https://www.facebook.com/profile.php?id=100012316365847

Sergio Dalmasso

Quaderno 68

 

È online il quaderno Cipec numero 68 che raccoglie tutti gli interventi al Consiglio regionale del Piemonte di Sergio Dalmasso dal 2007 al 2010.

 

DOWNLOAD QUADERNO 68

Download “Quaderno CIPEC N. 68 (Interventi al Consiglio regionale del Piemonte di Sergio Dalmasso parte seconda 2007-2010)” Quaderno-CIPEC-Numero-68.pdf – Scaricato 13796 volte – 858,96 KB

Il cartaceo sarà dato alle stampe nel secondo semestre del prossimo anno.

Il quaderno serve come documentazione.

Un intervento del Quaderno N. 68

Legislatura n. VIII – Seduta n. 322 del 09/05/08 – DALMASSO Sergio – Argomento: Commemorazioni

Commemorazione dell’on. Aldo Moro

Velocemente, come il Consigliere Leo.

C’è stata una trasmissione televisiva, qualche giorno fa, in cui a giovani di vent’anni è stato chiesto se sapevano chi fosse Aldo Moro.

Leggo due risposte testuali: “Mah, è quello che fotografava i vip, quello dello scandalo” – Lele Mora – “Non so, non sono mica comunista io e in classe dormivo quando si parlava di questo”.

È chiaro che fatti accaduti trent’anni fa siano lontani dai giovani come poteva essere la guerra di Spagna per me, cronologicamente.

Al tempo stesso, è molto più vero, rispetto ad anni fa, che se i giovani vivono appiattiti sull’oggi (come dice un grande storico marxista inglese) è estremamente difficile far presente loro i fatti passati.

Quindi chiederei anch’io – adesso non mi era neanche venuto in mente ma senza fare robe bipartisan, è tanto bravo il Consigliere Leo, ecc.

evitiamo questo – se in una prossima riunione del Comitato che è stato ricordato non si possa ragionare e pensare a qualche iniziativa, non tanto la processione nelle scuole, quanto qualche iniziativa significativa e collettiva, che cerchi di mettere in luce i fatti in modo chiaro, evitando per favore, spiegazioni unilaterali.

Gli anni ’70 non sono stati solamente violenza, ma sono stati anche altro: il diritto di famiglia, la legge Basaglia e mille altri aspetti di questo tipo.

Credo che sarebbe utile non solo per Torino, ma per la regione intera.

 

Sergio Dalmasso

IL LAVORATORE

Pubblicato nel periodico di Trieste Il Lavoratore il mio scritto sul volume Lucio LIBERTINI.


In “Il Lavoratore”, dicembre 2020, Trieste.

Sergio Dalmasso, LUCIO LIBERTINI, lungo viaggio nella sinistra italiana, Milano, ed. Punto rosso, 2020.

Download “Il Lavoratore di Trieste Lucio Libertini” Articolo-Dalmasso-Libertini-trieste-Il-Lavoratore-2020.pdf – Scaricato 17435 volte – 217,10 KB

Nei suoi ultimi anni, Lucio Libertini (Catania 1922- Roma 1993) aveva intenzione di scrivere la propria biografia politica, Lungo viaggio nella sinistra italiana.Libro di Sergio DALMASSO su Lucio Libertini

I pressanti impegni politici (tutt* ricordano la sua generosità) e la morte improvvisa (agosto 1993) hanno impedito che il testo andasse oltre le prime pagine ed un schema, scritto a mano.

Il mio libro non è una tradizionale biografia. Mancano totalmente dati sulla vita personale (ambiente famigliare, studi, adolescenza, gioventù…).

Inoltre, la chiusura di biblioteche ed archivi, causa Covid, mi ha impedito, al momento della stesura definitiva, di accedere ad alcuni documenti che avrei voluto consultare.

Ho tentato di scrivere una “storia” interamente politica seguendo lo schema e l’impostazione che lo stesso Libertini avrebbe voluto offrire.

Libertini ha fatto parte, dal 1944, di molte formazioni. La prima è, per brevissimo tempo, quella dei demolaburisti (Bonomi, Ruini) di cui parlava con molta reticenza e da cui esce, dopo pochi mesi, con i giovani, vicini alle posizioni, europeiste e federaliste, del socialista Eugenio Colorni.

Quindi, nel PSI, la corrente di Iniziativa socialista, che tenta con mille difficoltà e contraddizioni, di non appiattirsi sulle due opzioni maggioritarie, quella filosovietica e frontista e quella tradizionalmente riformista.

L’equilibrio è difficile, contraddittorio, proprio di giovani privi di esperienza politica e schiacciati dalla morsa della bipolarizzazione del mondo e, conseguentemente, degli schieramenti politici nazionali.

L’approdo è la scissione socialdemocratica di Saragat (gennaio 1947) nel tentativo di costruzione di una forza socialista autonoma fra i due blocchi.

La scelta governista e atlantista di Saragat e il suo progressivo abbandono dell’ipotesi di “socialismo dei ceti medi” e di un “umanesimo marxista”, proprio del suo pensiero negli anni ’30, produce una diaspora nel gruppo di Iniziativa.

Libertini, dopo una battaglia interna che tenta di rilanciare una ipotesi autonoma, ma che è sconfitta dall’apparato socialdemocratico, lascia (1949) il nuovo partito.

Dal 1951 al 1957, la partecipazione all’Unione socialisti indipendenti (USI), la formazione di Magnani e Cucchi, usciti dal PCI sulle posizioni di una “via nazionale”, considerata tradizionalmente una sorta di eresia “titina”, ma capace di posizioni originali sulla politica internazionale, l’autonomia sindacale, il rifiuto dei blocchi.

Nel 1957, dopo i fatti del 1956 (denuncia del culto di Stalin, repressione dei moti ungheresi …) l’USI confluisce nel PSI.

E’ la scelta per la sinistra del partito, contraria all’accordo di governo con la DC, ma soprattutto del rapporto organico con Raniero Panzieri che produce la migliore stagione della rivista “Mondo operaio” e le Sette tesi sul controllo operaio,

il documento più organico di una sinistra diversa da quella maggioritaria (Togliatti e Nenni), che vede nella centralità operaia e nell’”uscita a sinistra” dallo stalinismo, il cardine per la costruzione dell’egemonia del movimento operaio,

in una fase di profonda modificazione della struttura economica nazionale (inserimento dell’Italia nel capitalismo avanzato, crescita industriale, migrazione interna…).

Le sue capacità giornalistiche lo portano ad essere direttore del periodico della sinistra “Mondo nuovo” (lo era stato anche del settimanale dell’USI, “Risorgimento socialista”).

L’ingresso del PSI nei governi di centro-sinistra produce una nuova scissione e la formazione del PSIUP, di cui è fondatore, dirigente e in cui assume posizioni di sinistra, critiche verso le opzioni maggioritarie (Due strategie), sia sulle ipotesi nazionali (critica frontale al centro-sinistra,

alla socialdemocratizzazione, ai progressivi spostamenti del PCI), sia su quelle internazionali (critica al socialismo realizzato, attenzione alle esperienze rivoluzionarie nel “terzo mondo”).

Alla scomparsa di questo (1972), la scelta è per il PCI, formazione che maggiormente esprime istanze operaie e popolari.

Non rinnega le esperienze passate, ma ne coglie criticamente, il minoritarismo, l’inefficacia.

Dopo un ostracismo iniziale, in cui paga le posizioni eterodosse lungamente espresse, è vice-presidente della Giunta regionale piemontese, parlamentare, responsabile nazionale della commissione trasporti.

Negli anni dell’”unità nazionale” è continua la sua preoccupazione di un progressivo distacco rispetto alle istanze di base, ai bisogni popolari che non possono essere immolati sull’altare degli accordi politici.

Tra il 1989 e il 1991, l’opposizione alle scelte di Occhetto (la Bolognina) e la fondazione di Rifondazione.
E’ il primo capogruppo al Senato, instancabile organizzatore.

Può sembrare contraddittorio il suo avvicinamento a Cossutta, nello scontro interno che porta alla sostituzione, come segretario, di Sergio Garavini (luglio 1993).

Al di là delle banali accuse di “scissionismo”, di “globe trotter” della politica”, stupidamente presenti in molti commenti seguiti alla sua scomparsa e colpevolmente al centro di un comizio di Occhetto ai cancelli della FIAT (1992),

Libertini ha sempre rivendicato una linearità e una coerenza, segnata dal rifiuto dei blocchi, dalla critica allo stalinismo, dalla ricerca di una sinistra popolare ed autonoma.

Rifondazione esprimeva la continuità di un impegno, la certezza nel futuro della prospettiva comunista, oggi minoritaria,

ma storicamente vincente, la possibilità di ricostruire un rapporto di massa con i grandi settori popolari, davanti al ritorno della destra e alla semplificazione autoritaria portata dal sistema elettorale maggioritario.

Il libro ricostruisce questo percorso, i suoi molti scritti, “eresie” dimenticate, dibattiti, scelte generose,

anche se minoritarie, figure della sinistra maggioritaria e di un’altra, spesso emarginata (Magnani, Codignola, Maitan, Panzieri, Ferraris…),

sconfitta, ma capace di contributi e di analisi sulla realtà nazionale e internazionale, le sue trasformazioni, le prospettive.

In appendice, i suoi scritti sulla rivista “La Sinistra” (1966-1967) che sarà oggetto di un mio prossimo opuscolo e una testimonianza di Luigi Vinci.

Attraverso una figura lineare e coerente, il testo ripercorre mezzo secolo della nostra storia, di successi, errori, scacchi, potenzialità, occasioni mancate dell’intera sinistra italiana.

Non è un caso che, in un supplemento di “Liberazione”, a lui dedicato, poco dopo la sua morte, il grande storico Enzo Santarelli, ne ripercorresse soprattutto le pagine meno note, ormai perse nel tempo, forse quelle, che pur non maggioritarie, meglio delineano questa personalità che il mio libro tenta di riportare all’attenzione

Spero che i mesi prossimi permettano presentazioni, discussioni, critiche, ad oggi impedite dal Covid, su queste pagine.

Sergio Dalmasso

 

Indice dei nomi

 

Addio Lidia Menapace

di Sergio Dalmasso

Ho incontrato, per la prima volta Lidia Menapace a Roma, nel luglio 1970, ad una delle prime assemblee nazionali del Manifesto.

Eravamo partiti da Genova, viaggiando di notte (le cuccette erano un lusso impossibile) in treno, Giacomo Casarino ed io, arrivando a Roma, morti di sonno, in una giornata caldissima di luglio.

Morta Lidia Menapace 7 dicembre 2020Ci era stata consegnata la prima stesura delle “Tesi sul comunismo”, in una assemblea che si sarebbe dovuta svolgere a piazza del Grillo, ma data la partecipazione, si svolse a Montesacro.

Lidia era la più simpatica, la più disponibile fra i/le dirigenti che, a noi ventenni, sembravano di altra età, generazione, formazione e incutevano rispetto (Natoli, Rossanda…).

Quando si telefonava a Roma per chiedere che qualcun* partecipasse a dibattiti, incontri… arrivava sempre Lidia, puntualissima, precisissima.

Decine di riunioni della commissione scuola (ricordate le critiche ai “decreti Malfatti”?, poi il referendum per difendere il divorzio.

Ancora lei, dappertutto.

Ai temi usuali, il Manifesto aggiungeva tematiche insolite e originali, riprendendo riflessione dell’UDI sulla famiglia, il ruolo della donna; Lidia, per la sua formazione cattolica e democristiana era anche tramite con comunità di base, settori allora attivissimi su questo e altri temi.

Rimase stupita quando ad Alba (Cuneo), la sala prenotata si dimostrò troppo piccola per la partecipazione enorme e fummo messi in una palestra. Lo racconto sul “manifesto”.

Poi l’ennesima scissione, DP e PdUP, il suo ruolo di consigliera regionale nel Lazio, i suoi articoli e libri, le migliaia di assemblee, incontri su scuola, pace/guerra, il no al servizio militare per le donne, l’originalità e centralità della tematica di genere che spesso, a sinistra, veniva ridotta a servizi sociali, maternità, asili…

Nei primi anni di questo secolo, l’avvicinamento e poi l’iscrizione a Rifondazione. Incontri dappertutto, pur in una situazione difficilissima, partecipazione a convegni, direttorA (non voleva il termine direttrice che le ricordava le scuole elementari) della prima “Su la testa,” rivista mensile, consigliera provinciale (dopo due consigli regionali e il Senato!) a Novara, città in cui era nata.

A più di 90 anni era sempre in moto, in treno, dalla sua Bolzano nell’Italia intera per collettivi di donne, associazioni pacifiste, ambientaliste, per l’ANPI di cui era dirigente nazionale: “Sono ex insegnante, ex senatrice, ma sempre partigiana”.

Tre aneddoti:

– 2004. Abbiamo un incontro pubblico con lei, a Cuneo. Leggo su “Liberazione” della morte del marito. Le scrivo dicendole che possiamo annullarlo, che non si faccia obblighi con noi. Risposta: “Arriverò. Alla mia età, se ci si ferma, non si riparte più”.

– 2010: per le elezioni regionali piemontesi, nostra assemblea a Bra, città sede di uno dei più attivi e capaci circoli del vecchio PdUP. Era convinta che tant* sarebbero venuti a rivederla, salutarla, dopo una militanza comune, di anni. Neppure un*. Il deserto. Era rimasta molto addolorata e colpita. Non uso aggettivi e tristi considerazioni antropologiche sul settarismo di “sinistra”.

– 2016. per il compleanno di Rosa Luxemburg, a Cuneo, viene fondato un circolo Arci che prende il suo nome. Mi viene chiesta una relazione su vita ed opere. Al dibattito partecipa anche Lidia (per me un onore).

Al termine mi dice di mettere per scritto quanto ho detto. Lei avrebbe aggiunto un suo testo e ne sarebbe nato un libro, a quattro mani, per l’editore Manni. Altro onore per me. Scrivo, diligentemente il mio compitino. Il suo testo non arriverà mai, nonostante, lettere, e-mail, telefonate…

Dopo due anni e mezzo alla “critica roditrice del computer”, “Una donna chiamata rivoluzione” uscirà presso la Redstarpress che ancora ringrazio.

Mesi fa se ne è andata Rossana Rossanda. Prima di lei Natoli, Pintor, Magri, vinto anche dalla sconfitta politica e da un mondo in cui non si riconosceva più. È il nostro passato che ci lascia, in una realtà sempre più drammatica.

Lidia Menapace negli anni Sessanta

Essere stato amico di Lidia e avere condiviso tratti di percorso con lei è stato per me (e non solo) molto bello ed importante.

Con affetto.

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L’attualità del pensiero di Gramsci

 Intervengono Sergio Dalmasso e Giordano Bruschi.

Moderatrice Cecilia Balbi.

Intervento iniziale di Pino Cosentino.

Locandina Attualità del pensiero di Gramsci

L’Attualità del pensiero di Gramsci, temi del primo incontro:

“Vita e opere di Gramsci” con Sergio Dalmasso

“L’incontro con Gramsci della generazione della resistenza” con Giordano Bruschi

Video su L’attualità del pensiero di Gramsci:

Ciclo di incontri promosso da APS Consorzio Zenzero, Attac Genova, ANPI Sezione Genova S. Fruttuoso, Goodmorning Genova, Il Ce.Sto.

Primo incontro, martedì 20 ottobre 2020.

In diretta dal circolo ARCI Zenzero di Genova.

“Vita e opere di Gramsci” con Sergio Dalmasso storico del movimento operaio.
“L’incontro con Gramsci della generazione della resistenza” con Giordano Bruschi Partigiano e insignito della medaglia il Grifo d’oro massima onorificenza della città di Genova

Introduce Cecilia Balbi del Circolo Zenzero.

Tecnico audio Stefano Gualtieri

Tecnico video Dimitri Colombo

Conferenza trasmessa in diretta streaming il 20 ottobre 2020 su Facebook da Goodmorning Genova.

“Il consiglio comunale di Genova, minoranza e maggioranza – esclusi i consiglieri di Fratelli D’Italia che hanno deciso di votare contro – ha detto sì alla proposta di assegnare il Grifo d’Oro, massima onorificenza cittadina, a Giordano Bruschi.

Il partigiano “Giotto”, che presto compirà 95 anni, è conosciuto come memoria storica della resistenza e del novecento genovese, ma anche per la sua esperienza politica, sempre a sinistra, nel Pci, per cui fu consigliere comunale, e poi come scrittore, ambientalista e come anima dei comitati della Val Bisagno.

Sull’assegnazione del Grifo a Bruschi il plauso della Camera del Lavoro di Genova e del segretario Igor Magni.

Magni: “Grande soddisfazione per questo importante riconoscimento a Bruschi che con il suo impegno di militanza, esercitato sempre, anche nei momenti più difficili, rappresenta un esempio per tutti noi.

Un abbraccio fraterno da tutte e tutti noi della Cgil di Genova”. ”

Ciao compagni

La ricchezza delle nostri grandi storie

 

Due giorni fa ci ha lasciati Giuseppe PRESTIPINO, 98 anni, filosofo e militante politico.

Lo avevo conosciuto nell’ultima fase di DP e rivisto in Rifondazione.

Persona profonda, umile, disponibile alla discussione e all’ascolto.

Ieri notte, se ne è andata Rossana ROSSANDA, 96 anni.

Il Manifesto è stata la mia prima formazione politica.

Ricordo la prima riunione, a Genova, in via S. Lorenzo, con Manlio Calegari, Giacomo Casarino, Franco Carlini, Fernanda La Camera, Arcadio Nacini…, le prime riunioni nazionali, a Roma (luglio ’70), a Firenze (settembre ’70).

L’emozione nel vedere Pintor, Natoli, Caprara, Magri, Castellina, Rossanda, tant* giovani.

Le analisi di Rossanda erano profonde e documentate, anche se la fase la portava ad un eccessivo ottimismo (Italia e Francia) e ad un giudizio acritico sulla rivoluzione culturale cinese.

L’ho seguita in tutti questi anni: un comunismo non dogmatico, capace di comprendere il femminismo, l’ecologia politica, le trasformazioni con una lettura marxista assente nei tanti ortodossi che avevano bollato lei e il Manifesto con accuse infamanti, purtroppo veicolate da tant* militanti in buona fede.

Ricordate il “Chi vi paga?”.

“La ragazza del secolo scorso” è una biografia eccezionale, almeno nella prima parte anche capolavoro letterario.

Ciao Compagni. La ragazza del secolo scorso Rossana Rossanda

L’ho incontrata molte volte, ma una sola volta ho parlato a lungo con lei.

Dovevo scrivere un testo sulle origini del Manifesto (rivista, gruppo politico) e cercavo di comprendere le radici della sinistra “ingraiana” (11° congresso).

Lei accentuava il valore della alternativa della sinistra ingraiana, della battaglia per “linee interne”.

Io, forse schematizzando, insistevo sui limiti di questa.

Aveva chiuso in modo un po’ brusco dicendo: “Se non scriveremo noi di questi temi, non lo farà nessuno“.

In una realtà politico-culturale fatta di slogans, di assenza di analisi (strutturali e non), era capace, ogni volta, di richiamarci a principi basilari, ad una analisi marxista della realtà, oggi considerata inutile ed abbandonata anche da chi si considerava “ortodosso”.

La sua morte ci richiama alla mente oltre mezzo secolo del nostro impegno, delle nostre organizzazioni, delle nostre sconfitte frontali.

E’ triste pensare a chi se ne va per sempre, ma anche al fatto che la politica, di oggi e non solo, sia opera di nani, privi di formazione e che la ricchezza delle grandi storie che abbiamo alle spalle stia scomparendo.

 

Sergio Dalmasso
Genova, 20 settembre 2020

Quaderno 66

Il Quaderno numero 66 contiene il libro

A SINISTRA DI INTERNET di Giovanni Ferretti

Download “Quaderno CIPEC 66 (Libro a sinistra di Internet di Gianni Ferretti)” Quaderno-CIPEC-Numero-66.pdf – Scaricato 18816 volte – 3,84 MB

In anticipo, largo, sulla stampa cartacea – a cura del Centro Stampa della Provincia di Cuneo – si rende disponibile il quaderno cipec 66.

Contiente anche alcune recensioni del libro di Sergio Dalmasso su Lucio Libertini e un saggio di Sergio Dalmasso su Rodolfo Morandi.

Quaderno CIPEC Numero 66

Premessa, a sinistra di internet

Queste righe, lungi dal volersi ritenere complete ed esaustive, propongono un compendio degli studi relativi alle conseguenze provocate dall’impatto del digitale sulle nostre vite: scorrono sulle modifiche in atto in alcuni assetti psicologici, antropologici e sociali, e affrontano il rapporto tra digitale, economia e capitalismo del controllo, mettendo in risalto il ruolo del digitale nella creazione del consumo, del consenso e del controllo sociale.

Il testo, anche se di taglio per lo più sociologico, ha la presunzione di avanzare alcune analisi politiche; queste prendono spunto dal lavoro di diversi studiosi, alcuni dei quali potrebbero non gradire l’accostamento alla sinistra, presupposto nel titolo, soprattutto se accostata ad aggettivi quali radicale o anticapitalista 1: pur avendo provato ad essere accurato nelle citazioni, la loro selezione e il filo logico utilizzato per collegarle tra loro è ovviamente di esclusiva mia responsabilità.

Gap generazionale

Vale la pena puntualizzare che le analisi che vengono riportate e le statistiche sulle quali si basano, sono fortemente influenzate da quello che potremmo definire gap generazionale: è chiaro che l’impatto dei media digitali, soprattutto sul nostro modo di interpretare il rapporto con il nostro prossimo, è molto diverso se riferito alle generazioni Y (nati dopo il 1981, cresciuti con il web, creato nel 1991) e Z (i digital native, nati dopo 1995) o, viceversa, se osservato nelle generazioni maturate nel secolo ventesimo.

I ragazzi non leggono i giornali cartacei

Un esempio: i ragazzi di oggi difficilmente comprano giornali; quelli più sensibili sono comunque orientati a consultare giornali on-line o, più spesso, aggregatori di notizie tipo Google News.

Questo ovviamente non vale per persone che hanno più di 50-60 anni: troveremo anche tra di loro fruitori delle news on-line ma statisticamente il loro numero sarà molto meno rilevante.

Più in generale, possiamo cinicamente dire che ogni persona che muore è un fruitore di tecnologia broadcast (TV tradizionale, radio…), mentre ogni persona che nasce sarà fruitore di tecnologie di nuova generazione (streaming, podcasting, social o altro che sia o che sarà).

Nota

1 Anche se c’è da chiedersi che cosa sia una sinistra non anticapitalista.

Giovanni Ferretti

Nella foto seguente la figlia di CHE GUEVARA Aleida con Giovanni Ferretti:

Sferini su Lucio Libertini

Download articol di Marco Sferini su Libertini

Lucio Libertini: “Una cosa è rifondarsi, altra è abiurare”

Sferini foto Lucio Libertini

su La sinistra quotidiana

 

Sferini su Lucio Libertini – 27 anni fa mi trovavo in Trentino, in vacanza.

Dal televisore dell’albergo un mesto Tg2 diede la notizia in poche parole, mostrando questa foto di Lucio Libertini.

Era morto un socialista vero che non si era mai mosso più di tanto dalla posizione in cui aveva fatto crescere e maturare i suoi ideali.

“Sono i partiti che sono cambiati attorno a me”.

Ed infatti Lucio si riferiva alla mutazione del PSI, del PCI in PDS e alla sua personale scelta di rimanere invece convintamente comunista.

Lui riconosceva – scrisse – il diritto a Napolitano di dirsi socialista riformista.

Chiedeva che gli venisse riconosciuto altrettanto il diritto di dirsi ed essere nell’Italia del 1991 ancora, liberamente comunista.

Libero dalle catene in cui il comunismo era stato imprigionato dall’esperienza dei paesi dell’Est Europa, dell’Urss stessa.

Libero di rifondare pratica e pensiero dei comunisti nel Paese che aveva conosciuto per primo il fascismo e che i comunisti avevano contribuito in larga parte a sconfiggere con la Resistenza.

Grazie anche a lui, il Partito della Rifondazione Comunista può oggi rivendicare una sua vena libertaria e una ispirazione già allora antistalinista, costretta indubbiamente a convivere con posizioni molto contrastanti tra loro.

La dialettica del resto era e rimane non solo il motore della storia e dell’evoluzione umana, ma anche la dinamica con cui le tesi diventano sintesi.

Lucio scomparve mentre stava lavorando proprio alle tesi del congresso nazionale del Partito.

Nel settembre di quell’anno la consueta grande manifestazione a Roma dove convergevano oltre 300.000 compagne e compagni, ricordo Lucio in tanti interventi.

Mi mancò molto in quell’agosto, che ricordo con piacere per altri motivi, la figura di Lucio Libertini.

Come mi manca ancora oggi.

Perché era un compagno onesto moralmente e intellettualmente parlando.

Andai a cercare “Liberazione” a Trento, perché a Faedo non si trovava, la lessi freneticamente e la custodii nella copia della settimana precedente che invece avevo comperato a Savona.

Ogni tanto la riprendo in mano, così come alcuni scritti che reputo importanti: tra gli altri spiccano le “Sette tesi sul controllo operaio”.

Se posso consigliare alcune letture su Libertini, direi che sono un buonissima ricostruzione del suo pensiero quello uscito nell’autunno del 1993, edito da “Liberazione” stessa (“Lucio Libertini, 50 anni nella storia della sinistra”) oramai credo introvabile se non presso qualche circolo o federazione provinciale del PRC, e quello scritto dal caro amico e compagno Sergio Dalmasso, “Lucio Libertini, lungo viaggio nella sinistra italiana”, che potete acquistare anche su Amazon.

Libro su Libertini di Dalmasso

MARCO SFERINI

7 agosto 2020

***

Perché un movimento per la rifondazione comunista

Per comprendere la lotta che Libertini visse, come tante decine di migliaia di compagne e di compagni vissero, in quella transizione storica tra PCI e Partito Democratico della Sinistra, dopo il crollo del Socialismo reale sovietico e dei suoi paesi satelliti, riportiamo di seguito un intervento scritto per “l’Unità”, il 14 dicembre 1990:

Nei congressi sentiamo ripetere frequentemente un ritornello banale: il nome non conta, andiamo al di là del sì e del no.

E, a ben vedere, una affermazione inconsistente o pretestuosa, perché ciò che è in discussione non è un nome, ma, con un nome, una identità culturale e politica, e ogni contenuto, ogni programma, ha la sua radice in una identità.

Non a caso, o per capriccio, da anni è in corso una massiccia campagna dei grandi mezzi di informazione, diretta ad indurci ad abbandonare il nome comunista e la nostra identità di comunisti italiani, perché così si tagliano gli ancoraggi ideali e si diviene più facilmente preda di una deriva verso destra.

In realtà la questione di fondo che è in discussione e che investe l’intera sinistra europea (ma, ovviamente, in modo più diretto il Pci) e sulla quale occorre pronunziarsi con nettezza, riguarda un interrogativo centrale: se la vicenda di questo secolo, con il tragico fallimento dei regimi dell’Est, segni la vittoria definitiva del capitalismo, che diviene un limite insuperabile della storia umana, seppellendo la questione del socialismo; o se invece la tragica degenerazione di un grande processo rivoluzionario, che comunque ha inciso sulla storia del mondo, e le nuove gigantesche contraddizioni del capitalismo, a scala planetaria, ripropongano in termini nuovi la questione del socialismo e dell’orizzonte ideale, assai più lontano, del comunismo.

Molti di noi hanno rifiutato da tempo (chi scrive da sempre) di definire socialisti e comunisti quei regimi pur se ne riconoscevamo alcune storiche realizzazioni; ed è singolare che essendo stato per questo definito nel passato un revisionista e quasi un traditore, ora mi si voglia fare apparire un «conservatore» stalinista perché rifiuto di seppellire il socialismo sotto le macerie dell’Est.

Ecco, dunque, la questione.

Una questione che la proposta di Occhetto scioglie in una direzione ben precisa, perché da essa è assente ogni riferimento al comunismo ed al socialismo: perché la suffragano confusi discorsi su di una prospettiva che sarebbe «al di là del socialismo»; perché la identificano le dichiarazioni esplicitamente anticomuniste e antisocialiste di numerosi esponenti della cosiddetta sinistra sommersa, pronti ad essere cooptati nel gruppo dirigente del nuovo partito; perché il modello organizzativo che si propone ha caratteri sin troppo significativi, di ispirazione democratico-radicale.

Non a caso essa ha suscitato l’opposizione di Bassolino, che si è accorto, sia pur tardi, dei contenuti moderati dell’operazione, e la riserva, destinata a diventare dissenso esplicito, dell’area socialista-riformista, che da solco del movimento socialista europeo non intende uscire.

Tutto ciò – la perdita della identità e del riferimento al socialismo – spiega il processo di disfacimento che la «svolta» ha indotto sul piano organizzativo ed elettorale.

Una crisi ci sarebbe comunque stata in ragione della vicenda storica che attraversiamo, ed una rifondazione era comunque necessaria, ma la «svolta», per i suoi contenuti, trasforma la crisi in disfatta.

Proprio perché abolire una identità sostituendola con una fuga nel vuoto, mette in causa gli ideali che ci hanno fatto stare e lottare insieme, fuggendo dalla questione dei contenuti del socialismo, invece di affrontarla.

Ecco, dunque, perché considero con interesse la posizione, sia pure ancora ambigua, di Bassolino e di altri compagni, lo stesso emergere di un’area socialista riformista, e la posizione di tanti compagni che, pur accettando il PDS, non vorrebbero rinunciare al socialismo.

E perché considero la rifondazione comunista non una mozione, ma un impegno culturale e politico di lunga lena, attorno alla quale costruire un movimento, non ristretto all’ambito organizzativo del PCI attuale (dal quale è fuoriuscita una vasta area di comunisti e che ha perso il rapporto con le nuove generazioni).

Siamo in campo per evitare che il congresso segni una svolta irreversibile nel senso che ho indicato.

Ma siamo in campo, ancor di più, per porre in Italia la questione dell’esistenza di una forza politica e sociale che, partendo dalle grandi e crescenti contraddizioni del capitalismo – la questione Nord-Sud, la questione ambientale, la questione di classe, i processi di emarginazione, l’intreccio con la grande questione femminile – riproponga in termini nuovi e avanzati la questione del socialismo.

Siamo in campo per evitare che la democrazia sia azzoppata dal rifluire nel disimpegno e nella astensione di tanta parte del mondo del lavoro privato di vera rappresentanza, siamo in campo per costruire con le nuove generazioni una prospettiva nuova, respingendo l’omologazione ai modelli imperanti di una società dominata da una concentrazione senza precedenti del potere.

Sappiamo di indicare una via non facile e aspra, oggi controcorrente.

Una forza politica che non abbia la capacità di stare nelle ragioni di fondo della storia, e si pieghi a mode e condizionamenti esterni, va fatalmente alla deriva. Una cosa è rifondarsi, altra cosa è abiurare.

LUCIO LIBERTINI

Perché un movimento per la rifondazione comunista
l’Unità, 14 dicembre 1990

 

Basso Massone?

Lelio Basso massone? Cronaca di un processo politico staliniano

di Giorgio Amico

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 Lelio Basso. rappresenta una delle figure più luminose, per coerenza umana e politica, del socialismo italiano. Una figura ancora viva come dimostra l’interesse nei suoi confronti da parte della ricerca storica. Citiamo per tutti “Lelio Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialismo eretico”, agile ma approfondita ricerca di Sergio Dalmasso, autore tra l’altro di una recentissima bella biografia politica di Lucio Libertini su cui intendiamo ritornare presto.

Una vita movimentata e complessa quella di Basso, già giovanissimo cospiratore antifascista ai tempi dell’Università, su cui, come si è detto, si è scritto moltissimo e in modo largamente esaustivo. Un solo episodio resta ancora da chiarire: la sua repentina esclusione dal gruppo dirigente del PSI nel 1951.

Una “brutta storia”, secondo Elio Giovannini. La pagina peggiore del periodo ultrastalinista del PSI, durato dal 1948 al 1954, e in gran parte dovuto alla gestione organizzativa di Rodolfo Morandi. Un periodo caratterizzato da un allineamento totale al Pci, dall’esaltazione grottesca dell’URSS e di Stalin, ma anche da espulsioni di dissidenti, sbrigativamente definiti “agenti della borghesia e provocatori infiltrati”, e da veri e propri processi politici con il contorno abituale di insulti e insinuazioni anche sulla vita privata dei malcapitati finiti nel mirino dell’apparato. Tutto questo toccò a Lelio Basso, fatto oggetto di una campagna di calunnie e insinuazioni e poi processato a porte chiuse e di fatto espulso dagli organismi dirigenti del partito. “Una mediocre rappresentazione – è stato notato -, talvolta miserabile, comunque dolorosa” della tragedia feroce che si consumava in quegli stessi anni in Unione Sovietica e nelle cosiddette Repubbliche Popolari nel silenzio complice della sinistra italiana e dei tanti intellettuali, pure ipercritici di ogni aspetto della società occidentale, che la fiancheggiavano.

Gratis il primo capitolo del libro di Sergio Dalmasso su Lelio Basso:

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Dal congresso di Firenze del maggio 1949 era uscita anche se di misura una nuova direzione, frutto della vittoria delle due mozioni di sinistra, quella di Nenni-Morandi e quella di Basso che aveva raccolto attorno alla sua rivista “Quarto Stato” una serie di giovani e promettenti quadri fra cui Gianni Bosio, Luigi Anderlini e Francesco De Martino.

Insieme i due gruppi si erano imposti al congresso contro la vecchia maggioranza centrista uscita dal congresso di Genova del 1948, ma fin da subito iniziarono a manifestarsi fra Basso e Morandi incomprensioni e contrasti sia politici che personali. Una situazione ancora oggi di difficile definizione, “una frattura – ricorderà trent’anni dopo De Martino – i cui termini sono poco comprensibili sul piano politico”. Affermazione sibillina che sottintende come, soprattutto da parte di Morandi, giocassero molto fattori personali ed emotivi.

Insomma, a Morandi, allora interamente teso ad assumere il pieno controllo del partito, Basso faceva ombra e andava in qualche modo liquidato, mentre con Nenni, che impersonava fisicamente il Psi e la sua storia e dunque era intoccabile, ci si poteva limitare a una forma blanda di messa sotto tutela. Cosa di cui il vecchio leader socialista era pienamente consapevole, tanto da tenere in quel drammatico frangente una posizione di basso profilo e dopo un diretto, e brutale, confronto con Morandi e i suoi principali sostenitori, tirarsi indietro e abbandonare Basso al suo destino.

Una situazione “difficile e tormentata” come racconta lo stesso Basso nel 1979 in un dibattito su Psi e stalinismo pubblicato sulla rivista teorica del partito Mondo operaio. È Basso stesso a ricostruire i fatti in un articolo apparso nel 1963 su problemi del Socialismo e significativamente titolato “Vent’anni perduti?”:

«In quegli anni l’incompatibilità fra le sue [di Morandi, NdA] e le mie posizioni era evidente e nella misura in cui dalle sempre più scarse tribune che mi erano consentite cercavo di difendere la mia posizione, mi ponevo in urto con la politica ufficiale del partito.

In particolare ricordo due articoli di quel periodo che fecero addirittura scandalo in seno alla Direzione del Psi e furono praticamente all’origine delle mie dimissioni. Uno apparso in Quarto Stato nel maggio 1950 conteneva affermazioni, che oggi sembrano banali ma che allora suonavano eretiche, circa la diversità delle vie al socialismo, circa la carica dinamica dell’imperialismo e la sua capacità di sfuggire all’attesa “crisi finale”, ma soprattutto circa la non inevitabilità della guerra. “Rappresenta questa terza guerra mondiale lo sbocco necessario della complessa situazione attuale? Evidentemente no.

Se è vero che l’imperialismo è spinto alla guerra dalla logica stessa delle sue contraddizioni, dai profondi squilibri che crea la sua azione nel mondo, dalla sua incapacità a risolvere la crisi ormai permanente e generale del sistema, dalla folle corsa agli armamenti che è diventata un elemento indispensabile della sua vita economica e una condizione per l’accumularsi di maggiori profitti, è altresì vero che nulla vi è di fatale nella storia, e che l’azione cosciente degli uomini è in definitiva una creatrice di storia infinitamente più ricca di possibilità. E fra queste possibilità vi è quella d’impedire all’imperialismo di scatenare la sua terza guerra».

Ma più grave ancora apparve un articolo da me pubblicato in Francia in cui difendevo la mia concezione dell’unità d’azione e criticavo quei compagni «che confondono l’unità d’azione con l’assoluta identità fra i partiti “ignorando le differenze storicamente consolidate fra i due partiti, differenze, dicevo, «destinate a sparire, ma destinate a sparire non per volontà di alcuni dirigenti, non per accordi ai vertici, ma in base all’esperienza stessa unitaria delle masse».

E concludevo: «Come Lenin ha insegnato con particolare insistenza, l’esperienza delle masse costituisce la via insostituibile attraverso cui la classe operaia consegue dei risultati duraturi. Anche in questo caso perciò il marxista-leninista sa di dover modificare la realtà, ma sa di poterla modificare in quanto l’assuma come punto di partenza per la sua azione, e non in quanto la ignori; sostituire alla realtà una formula che corrisponde soltanto ai propri desideri, sostituire al processo il miracolo, significa essere chiusi alla vera mentalità dialettica, che è il fondamento del marxismo».

Queste prese di posizione significarono la “rottura definitiva”. Uno scandalo per i fautori della linea morandiana. Ricordiamo che Morandi nell’aprile 1950 al convegno giovanile di Modena sosterrà come un dogma la tesi che la politica unitaria doveva essere fondata sulle identità e non sulle differenze fra Psi e Pci.

Nel 1950 dunque lo scontro , finora latente, matura ed esplode pubblicamente. Basso viene investito da una campagna progressivamente crescente di accuse di deviazionismo e di frazionismo non prive di insinuazioni sulla sua vita privata. Basso è accusato di essere trotskista, nemico dell’Unione Sovietica e dell’unità organica con i comunisti, in “combutta” con agenti dell’imperialismo americano come Tito e l’ex ministro degli esteri ungherese László Rajk processato per titoismo e sbrigativamente impiccato il 15 ottobre 1949.

Agli attacchi seguono i fatti: Basso è costretto a cessare la pubblicazione della sua rivista Quarto Stato, le sue attività di dirigente dell’Ufficio ideologico-culturale del partito boicottate, i suoi viaggi e i suoi incontri con compagni spiati. In una parola, si cerca con ogni mezzo di fargli il vuoto attorno. I suoi principali sostenitori, soprattutto fra i giovani, come Elio Giovannini responsabile degli studenti socialisti, sollevati dai loro incarichi.

Così venne sviluppandosi via via una tensione, che si accentuò col passare del tempo”, sono parole di De Martino che ne spiega anche le cause: “La nostra critica riguardava principalmente la scarsa democrazia interna e i metodi che si stavano instaurando nel partito”, insomma la svolta ultrastalinista di Morandi.

Basso se ne lamentò direttamente con Nenni con una lunga lettera del 13 settembre 1950, la risposta fu raggelante:

«La posizione da te assunta verso i nostri uffici e i loro dirigenti è stata ingiusta nelle sue motivazioni e poteva riuscire ed in parte è riuscita deleteria nelle conseguenze. È nata da questa tua critica , portata fuori dalla sua sede naturale, l’accusa di cui ti duoli di lavoro di frazione o comunque personalistico. Ora tale accusa è venuta da troppe parti contemporaneamente perché la possa ritenere puramente e semplicemente arbitraria. […] una situazione che non è sorta oggi, ma dura da anni, dura dal Congresso dell’Astoria, da dove ha inizio il tuo tentativo di dividere la sinistra».

A questo punto Basso ha chiaro che la battaglia dentro l’apparato del Psi è definitivamente persa. Il 28 settembre si tiene a Roma una riunione dell’esecutivo socialista in cui Basso viene esplicitamente accusato di frazionismo. Eloquente il resoconto che ne fa De Martino:

«In tale riunione, mentre Nenni taceva, vi fu una sorta di processo, nel corso del quale l’accusa rivolta a Basso era di frazionismo e di attività nociva dell’unità del partito. Ad uno ad uno i membri dell’esecutivo formularono la loro critica. […] Basso non si difese né fece valere le nostre ragioni. Egli appariva rassegnato ad un evento che giudicava inevitabile. Solo chi scrive, nuovo dei rituali in uso in quel tempo nei pariti operai, tentò una difesa di Basso, suscitando la reazione di impazienza e di fastidio di Morandi».

In realtà De Martino fece di più. Nei giorni successivi avvicinò Amendola e Pajetta affinché il Pci intervenisse a favore di Basso, e i due esponenti comunisti lo fecero ricevendone in risposta l’invito a non ingerirsi negli affari interni del Psi, ma evitando tuttavia (è Basso stesso a raccontarlo su Mondo Operaio nel 1979) con il loro intervento che egli fosse addirittura espulso dal partito per i suoi presunti contatti con l’ungherese Rajk.

Alla riunione dell’Esecutivo fece seguito un colloquio privato con Morandi, i cui termini furono mantenuti rigorosamente celati anche ai collaboratori più stretti come De Martino. Basso ne uscì completamente annichilito e non tentò più nessuna resistenza.

Fu il segnale della liquidazione definitiva della sua corrente. Al Congresso di Bologna del gennaio 1951, il “congresso della vergogna”, come lo definisce Giovannini, Basso e i bassiani furono estromessi dalla Direzione e poi nel successivo congresso, quello di Milano del 1953, anche dal Comitato centrale.

Da allora fino al 1954 fra Basso e Morandi non ci fu più alcun tipo di rapporto, né politico né personale.

L’atteggiamento rassegnato di Basso stupì tutti, soprattutto i suoi compagni più stretti, uno dei quali gli chiese direttamente ragione con una lettera del 10 ottobre 1950 del “tuo inspiegabile comportamento passivo. Il giornale della Nuova Stampa parla di una questione morale che avrebbe, a quanto si capisce, dato la possibilità ai morandiani di farti un ricatto”

Ma allora cosa era accaduto nel colloquio a due di tanto grave da convincere un uomo combattivo e deciso come Basso a desistere dalla lotta e a lasciarsi cacciare senza reagire? Di che questione morale si trattava? Non è allo stato attuale dato saperlo, ma forse la risposta si trova in un piccolo, ma molto interessante, libro uscito su tutt’altro argomento nel 2005.

Nel 2005, dicevamo, Massimo della Campa, prestigioso avvocato, antifascista e presidente della Società Umanitaria fiore all’occhiello del socialismo riformista milanese, ma soprattutto Gran Maestro onorario del Grande Oriente d’Italia e dunque persona assai informata in materia di cose massoniche, pubblica un libro dal titolo significativo: “Luce sul Grande Oriente.

Due secoli di massoneria in Italia”, in cui racconta con abbondanza di dettagli episodi noti e meno noti della storia del GOI. Parlando della Massoneria milanese della fine anni ’40 inizio anni ’50, Della Campa

scrive:

«In verità quell’epoca era dominata da passioni accese e molto violente derivate dalla spaccatura in due della vita internazionale e di quella politica. Basti solo ricordare i socialisti, divisi allora fra pro-sovietici e pro-occidentali. Quelli più anziani ricordano le liti furibonde non solo fuori loggia, fra sostenitori del Patto atlantico ed avversari (a Milano, Lelio Basso quasi venne alle mani con un fratello antagonista)».

In colloqui avuti con Aldo Chiarle, conosciutissimo socialista savonese, ma soprattutto massone dal 1945, già segretario della Massoneria Unificata d’Italia e poi Gran Maestro onorario del GOI e 33° grado del Rito Scozzese Antico e Accettato, gli abbiamo posto più volte la questione. Chiarle sempre ci rispose che la cosa gli risultava vera, ma che non aveva riscontri ufficiali. L’ultima volta che ne parlammo, mi promise di visionare gli archivi centrali del GOI e di darmi una risposta certa. Ma non ci fu più occasione di rivederci. Morì prima di poterlo fare, a 87 anni, nel luglio del 2013.

Sulla base di queste fonti ci pare non improbabile che l’argomento usato da Morandi per piegare definitivamente la resistenza di Basso sia stato proprio la sua appartenenza alla Massoneria che, se rivelata pubblicamente, ne avrebbe immediatamente causato l’espulsione da un partito allora profondamente stalinista.

I tempi erano quelli, bastava poco per essere espulsi con motivazioni infamanti. Esemplare a questo proposito il caso di Giuseppa Pera, dirigente della Federazione socialista di Lucca, poi prestigioso docente di Diritto del lavoro, espulso nel 1952 per “tradimento” per aver coltivato “legami con movimenti nemici del partito e della classe lavoratrice” [Il movimento dei comunisti dissidenti di Cucchi e Magnani, NdA].

Basso conosceva perfettamente queste dinamiche e, anche se con una profonda sofferenza interiore testimoniata dalle sue lettere, fu costretto a prenderne atto se voleva comunque continuare, anche come semplice iscritto di base, la sua militanza nel partito alla cui costruzione aveva dedicato gran parte della sua giovinezza.

Per saperne di più:

Lelio Basso, Vent’anni perduti?, Problemi del Socialismo, nn.11-12, 1963.

Lelio Basso (et Alii), Il PSI negli anni dello stalinismo, Mondo Operaio, n.2, 1979.

Sergio Dalmasso, Lelio Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialista eretico, Red Star Press, Roma 2018.

Francesco De Martino, Storia di Lelio Basso reprobo, Belfagor, vol. 35, No. 4 (3 luglio 1980).

Massimo della Campa, Luce sul Grande Oriente. Due secoli di massoneria in Italia, Sperling & Kupfer Editori, Milano 2005.

Elio Giovannini, Una brutta storia socialista dei tempi di Nenni: la “liquidazione” di Lelio Basso, in: Giancarlo Monina (a cura di), Il Movimento di Unità Proletaria (1943-1945), Carocci, Roma 2005.

Luciano Paolicchi (a cura di), Lelio Basso Pietro Nenni Carteggio, Editori Riuniti University Press, Roma 2011.

Giorgio Amico

Savona, 25 luglio 2020

Download del saggio di Giorgio Amico