Psiup, il “partito provvisorio” che fu la culla dei movimenti
PSIUP. Parabola di un partito, Il percorso del PSIUP (1964- 1972) è ormai dimenticato.
La stessa tematica politica della sinistra socialista sembra ignorata, in un quadro bipolare in cui analisi, matrici, istanze sembrano del tutto uniformate.
Per anni, gli stessi dirigenti di questo partito, dopo la sua improvvisa scomparsa, ne hanno quasi rimosso gli aspetti più originali,
appiattendosi o in una “continuità togliattiana” (la maggioranza che confluisce nel PCI) o nel recupero, senza rotture, della tradizione del riformismo socialista (la minoranza che tornò nel PSI).
In alcune biografie o analisi, gli otto anni nel PSIUP sono tralasciati e quasi dimenticati;
nelle storie dell’Italia del dopoguerra i richiami a questi sono limitati a poche note.
Eppure questo partito e più ancora quest’area hanno significato, per una generazione di militanti, un riferimento importante, un laboratorio politico di una intera stagione.
Un tentativo schematico di periodizzazione distingue quattro fasi:
– quella della sinistra socialista nel PSI (1955- 1964)
– il passaggio da corrente a partito e la fondazione e strutturazione del PSIUP (1964-1966)
– l’apice sia elettorale che nella presenza sociale (1966- 1968)
– la crisi progressiva sino allo scioglimento (1968- 1972).
La sinistra socialista inizia a caratterizzarsi dopo il congresso di Torino (1955), in cui il PSI propone aperture verso il mondo cattolico e la DC.
Se, inizialmente, vi è la contrarietà dei soli Basso e Lussu, l’opposizione si struttura negli anni successivi, proporzionalmente all’avvicinarsi della maggioranza autonomista alla formula del centro- sinistra e al progressivo allontanamento dal PCI.
Il congresso di Venezia (1957) segna una maggioranza politica “nenniana” che non si trasforma in maggioranza negli organismi dirigenti.
Se parte della sinistra sembra appiattita sul PCI, in una sorta di logica “frontista”, all’”Avanti!” collabora Gianni Bosio, la rivista “Mondo operaio”, di fatto diretta da Raniero Panzieri,
rilegge Marx, propone la centralità della fabbrica e l’uscita in positivo dalle macerie dello stalinismo, sino alle Sette tesi sulla questione del controllo operaio, scritte a quattro mani da Panzieri e Libertini.
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