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Il manifesto Parabola di una eresia

In transform! italia – 22 maggio 2024 – Il manifesto. Parabola di una eresia

di Sergio Dalmasso

Il manifesto. Parabola di una eresia, convegno nazionale con Sergio Dalmasso

Gli anni ’70 e i primi anni ’80 sono stati precipitosi, triturando esperienze e idee e nessuno dei discorsi che facemmo al dodicesimo congresso del PCI sarebbe oggi più che un discorso sul passato. Conserviamo più con tenerezza che come il libro della legge il “manifesto” rivista…

Sono storie della politica che oggi è quel che è… Delle storie andate, credeteci, non c’è traccia o è così esile che non val la pena di attardarvisi1.

Così Rossana Rossanda, nell’autunno 1984, commenta lo scioglimento del PdUP e la sua adesione al PCI, una sorta di “ritorno”, da Natta a Natta, che segna la fine di un’eresia durata 15 anni.

Tutte le tematiche sollevate, le proposte di rinnovamento e riconversione del più grande partito comunista dell’Occidente, tutte le analisi sui nodi nazionali e internazionali appartengono al passato, ad una stagione interamente superata, di fatto ad una sconfitta consumata.

Scopo e fine di questa breve relazione è, al contrario, chiedersi se alcuni dei temi sollevati non presentino, ancor oggi, pur in una situazione deteriorata, in cui sembra aver trionfato il principio disperazione (G. Anders), elementi di attualità e di interesse, su cui è importante tornare a riflettere.

1Rossana ROSSANDA, Un fatto di cronaca, in “il manifesto”, 16 ottobre 1984.

Continua … (Saggio presente anche nella sezione del sito Archivio, Scritti storici, Articoli e saggi)

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Stop the War!

An Appeal for a Europe of Peace

02/03/2022
transform! europe condanna l’attacco che la Russia, sotto il governo di Vladimir Putin, ha lanciato contro l’Ucraina. Rifiutiamo l’uso della forza militare contro uno stato sovrano, così come abbiamo precedentemente rifiutato il dispiegamento delle forze NATO nei paesi confinanti con la Russia e nei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa. Chiediamo quindi un cessate il fuoco immediato, la fine dei bombardamenti, il ritiro delle truppe russe dal suolo ucraino e il ritorno al tavolo dei negoziati.

Allo stesso tempo, invitiamo l’UE a impegnarsi al massimo per riprendere i negoziati di pace. In questi tempi difficili, siamo al fianco del popolo ucraino che vive l’attacco russo in piena forza e le cui vite sono in pericolo. Siamo solidali con i popoli dell’Ucraina che sono costretti a lasciare le loro case e intessiamo reti di solidarietà per il loro sostegno, incluso fornendo loro riparo e sicurezza!

Siamo con i popoli in Russia che si oppongono alla guerra di Putin, nonostante l’oppressione, così come i milioni di altri europei che chiedono la pace. La soluzione a questa ingiustificata escalation di violenza militare non è più violenza, la soluzione è politica, basata sui principi di concetti comuni di sicurezza collettiva che danno priorità al benessere di tutti i popoli e al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Uniamo le forze con i movimenti pacifisti e sociali in tutto il continente per fermare questa guerra irrazionale, invitiamo i cittadini europei a scendere in piazza in nome della pace e siamo con il popolo ucraino. Le armi e le guerre dovrebbero appartenere al passato, il futuro dell’Europa e dell’umanità deve essere la pace!

L’opinione pubblica europea, come dimostra Eurobarometro in ogni sondaggio, è di gran lunga favorevole a un’Europa della pace, dei diritti umani, della democrazia e contro le armi nucleari. Più dell’85% degli europei è a favore di questi, il che rivela la contraddizione tra i desideri delle persone per il futuro dell’Europa e le decisioni dei responsabili politici. L’attuale crisi è espressione delle profonde e irrisolte contraddizioni della situazione della sicurezza europea. Dalla fine della Guerra Fredda, l’Europa è composta solo da Stati capitalisti. Ci sono contraddizioni imperialiste tra gli stati, amplificate dalla loro ineguale potenza economica e militare.

Rifiutiamo qualsiasi politica che ci restituisca una politica di blocchi e una nuova Guerra Fredda. Ci opponiamo all’espansione della NATO sul suolo europeo e alla sua retorica militare. L’Europa ha bisogno e vuole un percorso pacifico per risolvere i conflitti.

NO ALLA GUERRA MONDIALE, SI ALLA DIPLOMAZIA

La lotta per la pace è una lunga tradizione in Europa. La sinistra radicale è stata una sinistra pacifista, antimilitarista e antimperialista sin dai suoi inizi. Si oppone a tutta la propaganda sciovinista, razzista, neocolonialista e giustificatrice della guerra di governi, dei capitali e dei media. Contrastare la creazione di immagini nemiche non significa approvare la politica di un governo. Chiediamo a tutte le forze progressiste e ai cittadini di alzare la voce per una riduzione dell’escalation. Chiediamo la fine immediata della retorica conflittuale, dell’azione militare e delle minacce: continuando con queste tattiche, la guerra e il conflitto militare minacciano il nostro intero continente ed estendono la sofferenza dei popoli dell’Ucraina! La priorità dovrebbe essere sempre quella di fermare la guerra!

I popoli d’Europa sanno fin troppo bene cosa significhi la guerra e le sue terribili conseguenze. L’UE sta attualmente soffrendo a causa della devastante pandemia di COVID-19 e della sua gestione catastrofica. Piangiamo più di 2 milioni di morti negli ultimi due anni. La pandemia colpisce la vita di milioni di persone e sta rimodellando le economie. In questa congiunzione, riteniamo inaccettabile l’aumento delle spese militari, alimentato e giustificato dall’aumento delle tensioni militari e dalla retorica guerrafondaia.

È un oltraggio che durante l’attuale pandemia letale, le spese militari aumentino dall’1,63% al 2,2% del PIL globale. Il conflitto militare non è l’unica sfida alla sicurezza dei cittadini europei. Le terribili conseguenze del cambiamento climatico si fanno già sentire nel nostro continente ed entrambe queste crisi stanno amplificando le disuguaglianze strutturali nell’UE, in Europa e nel mondo. Sebbene non sia incluso nella maggior parte degli accordi ambientali internazionali, come l’Accordo sul clima di Parigi, il complesso militare-industriale è uno dei maggiori inquinatori del nostro pianeta e la guerra è l’attacco più devastante all’integrità della natura. Risorse preziose che potrebbero aiutare a sradicare le disuguaglianze nei sistemi sanitari e sociali dei paesi dell’UE, nonché il rinnovamento e la resilienza delle infrastrutture, sono spese nella prospettiva di una guerra prolungata che sarebbe dannosa per i popoli dell’UE e dell’Europa. Questo deve finire!

LA FINE DI UNA NUOVA GUERRA FREDDA PER PREVENIRE QUALSIASI GUERRA

L’opportunità che esisteva dopo la fine della Guerra Fredda per creare un sistema di pace e sicurezza paneuropeo non è stata colta. Da un lato, la NATO continua ad esistere, legando agli Stati Uniti le politiche di sicurezza e militari di 22 dei 27 membri dell’UE; e d’altra parte, strutture paneuropee e inclusive come il Consiglio d’Europa e l’OSCE sono state emarginate ed espulse dalla percezione pubblica dalla NATO, dal G-7 e dalla stessa UE. La politica di sicurezza europea è in una crisi multipla. L’Ucraina è solo uno dei numerosi punti caldi in cui il potenziale di conflitto si sta condensando e la gestione diplomatica delle singole crisi nella fase acuta non è sufficiente per disinnescarle.

L’Europa ha bisogno di un’architettura di sicurezza che tenga equamente conto degli interessi di tutti gli Stati europei. L’imminente 50° anniversario della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) rappresenta un’opportunità di rinnovamento e un’opportunità per adottare un Atto finale aggiornato che definisca le pietre miliari della sicurezza europea. Nel senso di diplomazia aperta, i movimenti per la pace, le ONG e la società civile di tutta Europa (e non solo dell’UE) dovrebbero essere coinvolti nella preparazione e nell’attuazione della conferenza non solo come programma di accompagnamento, ma piuttosto come partner alla pari.

Affrontare in pace le sfide del futuro sarà possibile solo se l’Europa abbandoni la logica della Guerra Fredda del passato e affronti collettivamente il futuro. L’UE deve iniziare a elaborare una nuova strategia di sicurezza indipendente che includa i suoi vicini! I costi insopportabili della guerra sono sempre pagati dalle classi lavoratrici. L’industria delle armi non deve più godere dell’impunità, guadagnando milioni di dollari mentre distrugge il pianeta e priva i giovani del loro diritto a un futuro pacifico. I giovani di Ucraina e Russia sono ora strappati alle famiglie e inviati a combattere in una guerra che serve gli interessi oligarchici e minaccia le loro vite e il loro futuro. Stiamo con le loro famiglie e i loro cari, di tutti coloro che sono stati arruolati nell’esercito a causa di questa guerra irrazionale e ci opponiamo alla mentalità patriarcale che chiama alla violenza.

PER UNA STRATEGIA DI PACE E SICUREZZA INDIPENDENTE DELL’UE

È impossibile parlare di autonomia strategica dell’UE quando la maggioranza degli Stati membri dell’UE sono membri della NATO. Lo sviluppo di un’identità politica di sicurezza dell’UE deve andare di pari passo con lo scioglimento della NATO e il ritiro delle truppe americane e soprattutto delle armi nucleari. Per una strategia di pace e sicurezza dell’UE indipendente e quindi un’Europa pacifica, l’UE deve liberarsi dal paternalismo della politica di sicurezza degli USA. L’UE è un attore globale. Deve concentrarsi sul raggiungimento degli obiettivi climatici, condurre una transizione socialmente giusta dall’energia fossile a quella sostenibile, riallineare la sua politica commerciale verso il Sud del mondo, rispettare e attuare la Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati nella sua politica sui rifugiati. Lo status dei membri neutrali e non allineati dell’UE, come esplicitamente riconosciuto nel Trattato di Lisbona, dovrebbe essere rivisto, quindi amplia le possibilità diplomatiche dell’UE per svolgere un ruolo costruttivo nelle tensioni che ora stanno aumentando.

Ci appelliamo a tornare al diritto internazionale sotto l’ONU come base per risolvere questo conflitto. La NATO è l’unico sistema di sicurezza multinazionale che agisce sulla scena internazionale in violazione del mandato esplicito della Carta delle Nazioni Unite. Questo lo rende una minaccia alla pace, come dimostrano le sue “operazioni”, in Europa, Asia e Africa, che hanno generato destabilizzazione, distruzione e battute d’arresto del pieno esercizio dei diritti sociali e umani delle persone nelle aree intervenute.

EUROPA UNA ZONA SENZA ARMI NUCLEARI

Chiediamo che tutti gli stati europei aderiscano al Trattato per la proibizione delle armi nucleari, come i popoli europei chiedono a maggioranza assoluta secondo qualsiasi sondaggio che sia stato condotto sulla questione. Inoltre, sosteniamo una zona libera da armi nucleari e militarmente sparsa in tutta l’Europa, dal Mediterraneo al Baltico e al Mare del Nord, come primo passo verso un’Europa senza armi nucleari. Chiediamo che gli Stati Uniti rientrino nel Trattato sulle armi nucleari a raggio intermedio e che sia la Russia che gli Stati Uniti si astengano dal rientrare in gare antagoniste di armamento nucleare. Un mondo senza armi nucleari è un mondo più sicuro per tutti!
In breve, chiediamo:

• L’arresto immediato dell’attacco militare russo all’Ucraina. Rispettando la sovranità dei popoli, respingiamo l’azione militare e le minacce contro uno Stato sovrano, così come qualsiasi cambiamento di confine attraverso l’aggressione militare.

• Stop immediato alla retorica e alla tattica guerrafondaia e ritorno sui tavoli diplomatici.
• La mediazione dell’OSCE e delle Nazioni Unite per fermare qualsiasi azione militare e dispiegare tutti gli strumenti diplomatici nell’ambito del quadro giuridico delle Nazioni Unite e la stesura e l’attuazione di un nuovo accordo di pace.

• L’UE a prendere l’iniziativa e proporre un’ampia conferenza paneuropea, compresa la Russia, sulla pace e la sicurezza collettiva, al fine di raggiungere una risoluzione globale della crisi in tutte le sue dimensioni. Ciò che è stato possibile durante la Guerra Fredda alla Conferenza di Helsinki è ancora più necessario oggi.

• Chiediamo che la UE riprenda i negoziati sul disarmo globale e multilaterale, comprese le armi nucleari a medio raggio.

 Facciamo appello al popolo europeo affinché sostenga saldi valori di pace e diritti umani, sapendo che difendere la pace è l’unico modo per un mondo che condivide il fatto che la guerra non risolve mai i conflitti ma ne crea di nuovi.

transform! europe condemns the attack that Russia, under the governance of Vladimir Putin, has launched upon Ukraine. We reject the use of military force against a sovereign state, just as we have previously rejected NATO forces deployment in countries bordering Russia, and in countries of Asia and Africa and Europe. We therefore call for an immediate ceasefire, stop of the bombings, the withdrawal of Russian troops from Ukraine soil and the return to the negotiating table.

At the same time, we call upon the EU to put maximum effort into reengaging in peace negotiations. In these difficult times, we stand with the people of Ukraine who experience the Russian attack in full force and whose lives are in danger. We stand in solidarity with the peoples of Ukraine that are forced to leave their homes, and weave networks of solidarity for their support, including providing them with shelter and safety! We stand with the peoples in Russia who oppose Putin’s war, despite oppression, as well as the millions of other Europeans that demand peace.

The solution to this unjustifiable escalation of military violence is not more violence, the solution is political, based on the principles of common, collective security concepts which prioritise the well-being of all peoples and the respect of human rights and international law. We join forces with the peace and social movements across the continent to stop this irrational war, we call upon European citizens to take the streets in the name of peace and we stand with the people of Ukraine that are forced to leave their homes. Weapons and wars should belong to the past, the future of Europe and humanity must be peace!

European public opinion, as Eurobarometer demonstrates in each survey, is by far in favor of a Europe of peace, human rights, democracy and against nuclear weapons. More than 85% of Europeans are in favour of these, which reveals the contradiction between people’s desires for Europe’s future and policy makers’ decisions. The current crisis is an expression of the deep, unresolved contradictions of the European security situation. Since the end of the Cold War, Europe consists only of capitalist states. There are imperialist contradictions between the states, amplified by their unequal economic and military power.
We reject any policy that returns us to a policy of blocks and a new Cold War. We oppose NATO expansion in European soil and their military rhetoric. Europe needs and wants a peaceful path to resolve conflicts.

NO TO WARMONGERING, YES TO DIPLOMACY

Fighting for peace has been a long tradition in Europe. The radical left has been a pacifist, anti-militarist and anti-imperialist left since its beginnings. It opposes all chauvinist, racist, neo-colonialist, and war-justifying propaganda of governments, capital, and media. To oppose the creation of enemy images does not mean to approve the policy of a government. We call upon all progressive forces and citizens to raise their voices for de-escalation. We call for animmediate end of confrontational rhetoric and military action and threats: By continuing with these tactics, war and military conflict threaten our whole continent and extend the suffering of the peoples of Ukraine! The priority should always be to stop the war!

The peoples of Europe know too well what war and its terrible consequences mean. The EU is currently suffering due to the devastating COVID-19 pandemic and its catastrophic management. We mourn more than 2 million dead over the last two years. The pandemic affects the lives of millions and is reshaping the economies. In this conjunction, we consider the increase of military expenses, fueled, and justified by the increase of military tensions and the warmongering rhetoric, unacceptable. It is an outrage that during the current lethal pandemic, military expenses increase from 1.63% to 2.2% of the global GDP. Military conflict is not the only challenge to the security of Europe’s people. The dire consequences of climate change can already be felt in our continent and both these crises are amplifying structural inequalities in the EU, Europe, and the world. Although not included in most of the international environmental agreements, such as the Paris Climate Agreement, the military-industrial complex is one of the biggest polluters of our planet and war the most devastating strike on nature’s integrity.

Valuable resources that could help irradicate inequalities in the health and social systems of EU countries, as well as the renewal and resilience of infrastructure, are spent on the prospect of a prolonged war that would be detrimental to the peoples of the EU and Europe. This has to stop!

ENDING A NEW COLD WAR TO PREVENT ANY WAR

The opportunity that existed after the end of the Cold War to create a pan-European peace and security system was not seized. On one hand, NATO continues to exist, tying the security and military policies of 22 of the 27 EU members to the United States; and on the other hand, pan-European and inclusive structures such as the Council of Europe and the OSCE have been marginalised and pushed out of public perception by NATO, the G-7 and the EU itself. European security policy is in a multiple crisis.

Ukraine is only one of several hotspots where conflict potential is condensing and diplomatic management of individual crises in the acute stage is not sufficient to defuse them. Europe needs a security architecture that fairly considers the interests of all European states. The upcoming 50th anniversary of the Conference on Security and Co-operation in Europe (OSCE) is an opportunity for renewal and a chance to adopt an updated Final Act setting out the cornerstones of European security. In the sense of open diplomacy, peace movements, NGOs, and the civic society from all over Europe (and not only the EU) should be involved in the preparation and implementation of the conference not only as an accompanying programme, but rather as equal partners.

Mastering the challenges of the future in peace will only be possible if Europe leaves the Cold War logic in the past and collectively faces the future. The EU needs to start elaborating a new independent security strategy inclusive to its neighbours! The unbearable costs of war are always paid by the working classes. The arms industry must no longer enjoy impunity, making millions in revenue while destroying the planet and depriving the youth of their right to a peaceful future. The youth of Ukraine and Russia are now ripped from the families and send to fight in a war that serves oligarchic interests and threatens their lives and future. We stand with their families and loved ones, of all those drafted to the military because of this irrational war and oppose the patriarchal set of mind that calls to violence.

FOR AN INDEPENDENT EU PEACE AND SECURITY STRATEGY

It is impossible to talk about the strategic autonomy of the EU when the majority of the EU Member States are members of NATO. The development of an EU security policy identity must go hand in hand with the dissolution of NATO and the withdrawal of American troops and especially nuclear weapons. For an independent EU Peace and Security Strategy and hence a peaceful Europe, the EU must free itself from the security policy paternalism of the USA.

The EU is a global player. It must focus on achieving climate goals, leading a socially just transition from fossil to sustainable energy, realigning its trade policy towards the Global South, respecting, and implementing the UN Refugee Convention in its refugee policy. The status of neutral and nonaligned members of the EU, as explicitly recognized in the Lisbon Treaty, should be revisited, hence it expands the EU’s diplomatic possibilities to play a constructive role in the tensions that are now increasing.

We appeal to come back to international law under the UN as the basis to resolve this conflict. NATO is the only multinational security system that acts on the international stage in violation of the explicit mandate of the Charter of the United Nations. This makes it a threat to peace, as demonstrated by its “operations”, in Europe, Asia, and Africa, which have generated destabilization, destruction and setbacks in the full exercise of the social and human rights of people in the intervened areas.

EUROPE A NUCLEAR WEAPON FREE ZONE

We demand that all European states join the Treaty for the Prohibition of Nuclear Weapons, as European peoples demand by full majority according to any survey that has been conducted on the issue. In addition, we advocate for a nuclear-weapon-free and militarily diluted zone in the whole of Europe, from the Mediterranean to the Baltic and the Northern Sea as the first step towards a nuclear weapons-free Europe. We demand that the USA re-enters the Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty and that both Russia and the USA refrain from re-entering antagonist nuclear weaponization races. A world without nuclear weapons is a safer world for all!

In short, we call for:
• An immediate stop of Russian military attack on Ukraine. Respecting the sovereignty of peoples, we reject military action and threats against a sovereign state, as well as any border change by way of military aggression.

• An immediate stop of warmongering rhetoric and tactics and return to the diplomatic tables.
• The mediation of the OSCE and the UN to stop any military action and deploy all diplomatic tools under UN legal framework and the drafting and implementation of a new peace agreement.

• The EU to take the initiative and propose a broad pan-European conference, including Russia, on peace and collective security, in order to achieve a comprehensive resolution of the crisis in all its dimensions. What was possible during the Cold War at the Helsinki Conference is even more necessary today.

• The EU to resume negotiations on multilateral and comprehensive disarmament, including nuclear and intermediate-range weapons.
We appeal to the people of Europe to stand with strong peace and human rights values, knowing that defending peace is the only way to a world that shares that war never resolves conflicts but creates new ones.

Lucio Libertini

Lucio Libertini e la storia della sinistra italiana

8 Luglio 2020, di Franco Ferrari

Articolo recensione su Tranform.

Lucio Libertini, dirigente e senatore del Partito della Rifondazione Comunista, è scomparso nell’agosto del 1993 a seguito di una grave malattia.

La sua storia politica lo ha visto protagonista di diverse realtà di partito lungo un filo caratterizzato dall’adesione ad un’idea di un socialismo di sinistra, antistalinista e classista. Lucio Libertini. Lungo viaggio nella sinistra italiana di Sergio Dalmasso 2020

Questa sua lunga e a volte travagliata, ma sostanzialmente coerente, esperienza, iniziata quando era ancora in corso la seconda guerra mondiale, non può non stimolare interesse ed anche interrogativi.

Si è cimentato nell’impresa di condensare il suo lungo viaggio politico in un libro, Sergio Dalmasso, storico che ha sempre dedicato grande attenzione alle diverse esperienze del socialismo di sinistra in Italia (Lucio Libertini. Lungo viaggio nella sinistra italiana, Edizioni Punto Rosso, Milano, 2020, 18 euro).

Una storia ricca di personalità importanti, anche se, va detto, quasi mai trovatesi a spingere tutti insieme nella stessa direzione politica.

Basti ricordare, oltre al nome di Libertini, quelli di Lelio Basso, Rodolfo Morandi, Raniero Panzieri, Vittorio Foa.

C’è stato chi ha strumentalmente ironizzato su un Libertini scissionista ma, in realtà, le sue scelte sono sempre state animate dal tentativo di trovare uno strumento politico in cui potesse trovare spazio la sua idea di lotta per la trasformazione socialista, animata dal protagonismo della classe operaia e dei lavoratori in generale.

Anche scelte che, in sede di bilancio storico, si possono ritenere sbagliate (non tanto alla luce della valutazione dei posteri, quanto rispetto ai suoi stessi obbiettivi politici), non sono mai interpretabili come una forma di trasformismo politico, di cui abbiamo invece tanti esempi in tempi più recenti.

Tra “morandiani” e “saragattiani”

Nato a Catania (da una famiglia che poteva contare baroni e senatori del Regno), ha iniziato giovanissimo ad impegnarsi nell’azione politica.

La prima esperienza, da giovane iscritto alla facoltà di scienze politiche dell’Università romana, lo spinse verso il Partito Democratico del Lavoro, una piccola formazione di riformisti moderato.

Difficile capire le ragioni che lo portarono ad aderire ad un partito fondato da vecchi notabili del prefascismo come Ivanoe Bonomi e Meuccio Ruini.

Fu infatti esperienze breve e non particolarmente significativa.

Da questo versante, il libro di Dalmasso non ci dice molto perché non è una biografia in senso classico e quindi non indugia su aspetti della vita privata o su motivazioni psicologiche.

E’ invece l’attenta ricostruzione di un percorso politico.

Si può dire che il giovane Libertini si trovò ad assumere subito ruoli di un certo rilievo e lo fece con lo spirito battagliero che lo ha contraddistinto per tutta la vita.

Entra a far parte della corrente di Iniziativa Socialista.

Si trattava di una delle componenti che operavano nel Partito Socialista di Unità Proletaria, nel quale erano confluite le diverse anime socialiste.

Nel PSIUP si aprì subito il confronto fra le varie correnti divise soprattutto dal rapporto con il PCI.

Ad una sinistra classista e unitaria, nonché apertamente filosovietica sul piano internazionale, faceva da contrasto una tendenza più moderata che cercava una linea autonomista e di riformismo classico ispirato ai partiti che si andavano riorganizzando nella Internazionale Socialista. In questa polarizzazione, Iniziativa Socialista costituiva un’anomalia.

Sul piano della politica interna tendeva a collocarsi a sinistra del PCI, di cui criticava la strategia della collaborazione con le forze moderate ed in particolare con la DC.

Sul piano internazionale era invece polemica verso l’egemonia staliniana sul movimento comunista e la sua eccessiva subordinazione agli interessi dell’Unione Sovietica.

Al momento della scissione del PSIUP, nel 1947, Iniziativa Socialista si alleò con la componente di destra guidata da Saragat e raggruppata attorno alla rivista “Critica Sociale”, per dar vita alla scissione detta di Palazzo Barberini, dal nome del luogo dove venne fondato il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani.

Iniziativa Socialista portò al nuovo partito (la cui sigla faceva PSLI, da cui la sarcastica definizione di “piselli” attribuita ai suoi militanti) la maggioranza dell’organizzazione giovanile del PSIUP.

Molto scarse furono invece le adesioni da parte della base operaia socialista che dimostrò di avere maggior fiuto politico.

Fra gli esponenti di “Iniziativa Socialista” vi era anche Livio Maitan che diverrà poi il principale esponente del movimento trotskista in Italia e uno dei massimi leader della Quarta Internazionale.

Secondo la posteriore ricostruzione di Maitan, il gruppo dirigente di Iniziativa Socialista, composto soprattutto da giovani, pensava di poter conquistare la maggioranza nel nuovo partito e quindi di condizionare Saragat, portando il PSLI ad una collocazione di opposizione al governo tripartito guidato da De Gasperi e di sostegno alla neutralità dell’Italia nella nascente contrapposizione tra blocchi.

Libertini dichiarò poi di essere stato molto scettico sulla scelta della corrente a cui apparteneva.

Saragat cercò di convincerlo con un discorso infarcito da citazioni di Marx e di Engels. Nonostante i dubbi, come ricostruisce Dalmasso, Libertini partecipò alla costruzione e alla direzione del PSLI.

Nel giro di pochi mesi il partito di Saragat (che poi diventerà PSDI a seguito di ulteriori scissioni e ricomposizioni) si sposterà a destra ed entrerà nel governo neocentrista guidato dalla Democrazia Cristiana diventandone un alleato fedele e subalterno per diversi decenni.

“Iniziativa Socialista” si disgregò rapidamente a fronte della maggiore abilità manovriera dei vecchi riformisti.

Una parte di essa, guidata da Maitan e da altri che poi seguiranno percorsi diversi, ne uscì prima delle elezioni del 1948. Ne nacque un piccolo movimento che aderì al Fronte Democratico Popolare formato da PCI e PSI.

Libertini, in posizione di dissenso con l’orientamento sempre più moderato che prevaleva nel partito, vi rimase qualche anno ma evidentemente le sue posizioni diventavano sempre più incompatibili con quelle dei “saragattiani”.

A differenza di altri, come lo storico Gaetano Arfé, non ritenne di poter rientrare nel PSI che considerava ancora troppo allineato alla logica dei campi contrapposti, né di seguire Maitan nella formazione di un’organizzazione affiliata alla Quarta Internazionale, che considerava troppo schematica e settaria.

Il “socialismo indipendente” di Valdo Magnani

L’opportunità di partecipare ad un’esperienza che fosse collocata nel campo del socialismo (ben distinto da quello socialdemocratico) ma critica dello stalinismo, si aprì con la dissidenza dei parlamentari comunisti Valdo Magnani e Aldo Cucchi.

Sorta a seguito della rottura tra la Jugoslavia di Tito e l’URSS di Stalin, anche se non direttamente causata da questa, la posizione di Magnani, sicuramente la figura politicamente più rilevante, cercava di difendere quegli aspetti della via nazionale al socialismo che si erano intravisti nella politica togliattiana dell’immediato dopoguerra per essere poi accantonati con la guerra fredda e l’irrigidimento del blocco socialista imposto dalla linea cominformista.

I due parlamentari comunisti diedero vita, nel 1951, al Movimento dei Lavoratori Italiani (MLI) che poi si trasformerà in Unione Socialista Indipendente (USI).

La radicalità della contrapposizione che caratterizzò la prima metà degli anni ’50 e che non era solo un riflesso della guerra fredda a livello internazionale ma anche dell’asprezza del conflitto sociale in Italia (sono anni di massacri di lavoratori da parte della Celere, di repressioni poliziesche, di licenziamenti politici, di persecuzione di partigiani) non lasciava spazio ad una posizione di non allineamento. Lo stesso PSI era non meno filosovietico del PCI.

Lucio Libertini aderì all’organizzazione di Valdo Magnani (sprezzantemente ribattezzata dai comunisti “i Magnacucchi”) nelle cui file agirono personalità di varia provenienza politica e non esclusivamente ex comunisti.

Vi svolse un ruolo di primo piano, soprattutto nella direzione del giornale “Risorgimento Socialista”, che gli venne affidata nel 1954.

L’MLI e poi USI non poté contare su adesioni significative e non intaccò la base di consenso del PCI.

Mantenne un rapporto diretto con la direzione comunista jugoslava, dalla quale ricevette anche qualche modesto finanziamento, senza rinunciare in ogni caso ad una certa autonomia di giudizio.

Presente alle elezioni politiche del 1953 contribuì a sconfiggere la cosiddetta legge truffa che avrebbe consentito alla DC e ai suoi alleati di ottenere il 65% dei seggi con il 50% più uno dei voti. I “socialisti indipendenti” guardarono con favore alla destalinizzazione avviata da Krusciov al XX Congresso del PCUS ma la possibilità di un riavvicinamento al PCI, che aveva portato Magnani a riprendere qualche contatto col suo vecchio partito, venne ostacolata dal diverso giudizio espresso sulla rivolta ungherese e sull’intervento sovietico.

Gli avvenimenti – scriveva allora Libertini – investono ormai il PCI della necessità di una scelta che si è cercato invano di ritardare”.

L’anno successivo, l’Unione decise di sciogliersi per confluire nel PSI.

Scelta che anche Libertini sostenne.

Dalmasso traccia il seguente bilancio dell’esperienza dell’USI: “Se l’eredità non è univoca, se la storia di questa piccola formazione è totalmente dimenticata, questa ha comunque espresso tensioni e volontà minoritarie, ma contro i conformismi dominanti.

E’ significativa la presenza di giovani alla prima esperienza politica, come Vittorio Rieser, Franco Galasso, Dario e Liliana Lanzardo e la continuità di molte tematiche nella temperie degli anni ’60 e ’70.”

Dopo il ’56 i rapporti di alleanza fra socialisti e comunisti si allentarono e posizioni più apertamente antistaliniste trovarono maggiore spazio per esprimersi all’interno del PSI.

Dato però che il partito, sotto la guida di Nenni, si spostò in direzione moderata per aprire il percorso politico che si sarebbe concluso con l’alleanza del centro-sinistra, Libertini si trovava ancora una volta collocato in una posizione di minoranza.

Sono gli anni della collaborazione con Raniero Panzieri dalla quale nacquero le famose “Tesi sul controllo operaio”.

Questo documento rilanciava una strategia basata su un ruolo più diretto della classe operaia, a partire dalla grande fabbrica.

La posizione di Libertini era critica verso le posizioni, caratteristiche in particolare di Amendola e della destra comunista, che vedevano come compito principale del movimento operaio quello di superare l’arretratezza storica del capitalismo italiano.

Per Libertini, in questo più vicino alla sinistra comunista di Ingrao, le contraddizioni che emergevano, in una fase di forte crescita economica dell’Italia, erano proprie di un capitalismo maturo e quindi richiedevano obbiettivi più avanzati.

La sfida principale era impedire l’integrazione subalterna della classe operaia nel meccanismo capitalistico.

Le tesi sollevarono un ampio dibattito. Vennero criticate dal PCI perché si riteneva che sottovalutassero il ruolo del partito e rischiassero di rinchiudere l’azione operaia dentro la fabbrica rendendo più difficile l’azione di conquista dell’egemonia sugli altri strati popolari e tra i ceti intermedi.

La collaborazione tra Panzieri e Libertini, attorno alla rivista socialista “Mondoperaio”, durò un paio di anni poi le strade si separarono. Il primo svolse un ruolo soprattutto intellettuale con la fondazione dei Quaderni Rossi, mentre per Libertini l’azione politica non poteva che avvenire attraverso il partito.

Con l’avvio del centro-sinistra e il consolidamento dell’alleanza tra PSI e DC, la sinistra socialista rompe con la maggioranza di Nenni e Lombardi e dà vita al PSIUP, riprendendo il nome che era stato utilizzato dal partito socialista per un breve periodo nella fase della ricostituzione dopo il fascismo.

Libertini aderisce al PSIUP e svolge una importante attività giornalistica, di polemica e di elaborazione, attraverso il settimanale che era stato della sinistra socialista e poi passerà al nuovo partito: “Mondo Nuovo”.

Il PSIUP riesce ad intercettare per alcuni anni dopo la sua nascita i nuovi fermenti che stanno per confluire nei movimenti di protesta del 1968 (giovanile e studentesco) e del 1969 (operaio).

Si apre però un conflitto tra la componente più tradizionale, che ha una visione più istituzionale ed organizzativa del partito (i cosiddetti “morandiani”) e le nuove leve militanti più sensibili alle nuove forme di conflittualità sociale e più aperte alle spinte dal basso.

Libertini, che non era certo un quadro giovane ma nemmeno era stato “morandiano”, si colloca più vicino a queste ultime, pur non condividendone sempre certe spinte estremistiche.

Il PSIUP ottiene un buon risultato elettorale nel 1968 ma non riesce a consolidare la nuova base di consensi. Non contribuisce l’atteggiamento piuttosto ambiguo assunto sull’invasione cecoslovacca.

Mentre il PCI aveva difesa l’esperienza di rinnovamento socialista e condannato l’invasione del Patto di Varsavia, il PSIUP appariva molto più titubante.

Libertini vedeva nella posizione del PCI il rischio che venisse “gestita a destra”, ma anche “potenzialità positive per una alternativa rivoluzionaria e noi in questo senso dobbiamo aprire un dialogo operativo con il PCI”.

Il PSIUP (“partito provvisorio” è stato definito per primo da Arfé) era attraversato da numerosi conflitti, mentre l’anima più radicale inserita nei movimenti tendeva a guardare alle nuove formazioni dell’estrema sinistra che raccoglievano diverse decine di migliaia di militanti.

Nelle elezioni del 1972, il PSIUP scende sotto il 2% e resta escluso dalla ripartizione dei seggi alla Camera dei Deputati (al Senato si era presentato assieme al PCI).

Il gruppo dirigente ne trae la conclusione che non vi sia più spazio per un partito che si collochi tra il PSI e il PCI e non ritiene accettabile l’idea di alcuni di collocarlo a sinistra dei comunisti.

La maggioranza decide la confluenza nel PCI, ma con consistenti minoranze che si volgono al PSI o al mantenimento in vita del partito dando seguito ad un Nuovo PSIUP che poi confluirà col Manifesto nel PDUP per il Comunismo (dove il riferimento al comunismo nel nome non piacerà a molti ex psiuppini).

Libertini, che per molti aspetti era più vicino a quest’ultima componente, decise però a favore dell’ingresso nel PCI.

Una scelta che a molti sembrò in contraddizione con una traiettoria politica che era stata spesso in conflitto e in aperta polemica con la tradizione togliattiana.

All’interno del PCI vi fu una certa resistenza ad accogliere la sua adesione, soprattutto da parte della destra che è sempre stata meno tollerante verso il pluralismo interno al partito.

Da questo scaturì la decisione di pubblicare su Rinascita una lunga lettera a firma di Luciano Gruppi nella quale si chiedeva, con una certa asprezza, quali ragioni portavano Libertini ad entrare nel Partito Comunista, viste le tesi critiche da lui sempre sostenute.

La sua risposta, sempre nella forma della lettera a Rinascita, venne valutata da alcuni come una rinuncia alle sue posizioni, ma in realtà fu un tentativo di mantenere la coerenza di fondo delle sue idee, rivedendo contemporaneamente autocriticamente alcune punte eccessivamente polemiche nei confronti delle politiche e della tradizione teorica del PCI.

Anche sull’esperienza del PSIUP, Dalmasso traccia una rapida valutazione di sintesi: “Si chiude, con eccessiva velocità, la storia organizzata della sinistra socialista in Italia, di cui restano segni ed eredità carsiche in altre esperienze. Il partito paga la piccolezza davanti al PCI e al tempo stesso la sua struttura di ‘partito pesante’.

Paga l’inadeguatezza del quadro morandiano, ma anche la inadeguatezza della minoranza.”

Facendo proprio un giudizio di Franco Livorsi, la fine del PSIUP e la “dispersione del suo lascito” vengono viste come la “fine del ‘lungo sessantotto’ italiano”.

Nel PCI, Libertini poté assumere alcuni ruoli istituzionali di un certo rilievo, anche se non fu un dirigente di primissimo piano.

Orientato piuttosto verso le posizioni della sinistra, mantenne un buon rapporto con Berlinguer e ne difese la politica di alternativa, seguita al fallimento del compromesso storico.

Impegnato a Torino si occupò “con grande documentazione, della politica della Fiat e a delineare le prospettive della più grande industria italiana, la sua strategia e il rapporto con le lotte operaie”.

Download “Quaderno CIPEC N. 67 (Lucio Libertini. Interventi al consiglio regionale del Piemonte 1975-1976)” Quaderno-CIPEC-Numero-67.pdf – Scaricato 19360 volte – 1,72 MB

Un elemento centrale della sua visione politica lo si può riconoscere in un brano della relazione tenuta al convegno torinese sulla struttura industriale del Piemonte e i problemi della sua trasformazione nella crisi dell’economia italiana (concluso da Bruno Trentin) che vale la pena di citare: “Le soluzioni politiche che siano all’altezza dei grandi e difficili problemi dell’economia e della società non solo debbono necessariamente fondarsi sull’unità delle grandi masse popolari, sulla loro forza e capacità complessiva, fuori da ogni settarismo e avventurismo, ma debbono avere in se stesse un giusto rapporto tra il momento del movimento, della lotta e il momento dello Stato e della direzione complessiva.

Non sono realistiche quelle soluzioni che pretendono di ridurre il movimento fine a se stesso e di isolarlo dalle grandi questioni della società e dello Stato.”

Quando avanzò la linea della liquidazione del partito, Libertini si schierò senza esitazioni con il fronte del “no”.

In tutta la fase finale della storia del Partito Comunista la sua principale preoccupazione, sottolinea Dalmasso, era “il timore di offuscamento del rapporto con grandi settori di massa”.

Al momento della trasformazione del PCI in PDS, fu nel gruppo dei promotori di Rifondazione Comunista di cui divenne uno dei principali dirigenti.

Polemizzò con Ingrao sulla possibilità di essere un punto di riferimento rimanendo “nascosti” dentro un partito “non più comunista e a tratti anticomunista”, quando il vecchio leader comunista decise (ma solo per un breve periodo) di restare nel “gorgo” del PDS.

Nel conflitto assai aspro che si aprì nel gruppo dirigente del PRC tra Garavini e Cossutta si trovò alleato al secondo, benché la sua storia avrebbe dovuto trovarlo più naturalmente affiancato al primo.

Ma la sua principale preoccupazione era che il partito non restasse invischiato nelle polemiche interne, ma riprendesse capacità di iniziativa politica e sociale.

Era fondamentalmente ottimista (diremmo l’ottimismo della volontà) pur vedendo tutte le difficoltà determinate dal passaggio al maggioritario e dal formarsi di forti aggregazioni di destra.

Il suo contributo allo sviluppo del PRC, che nasceva, come lui stesso aveva dichiarato, dovendo nuotare controcorrente, fu limitato dalla malattia che lo colpì all’inizio del 1993 e che lo condusse al decesso nell’agosto di quell’anno.

Una sintesi del suo percorso è quella offerta dallo storico Enzo Santarelli, poco tempo dopo la scomparsa di Libertini e che Dalmasso richiama: “Il centro della sua vita è il tentativo di uscire dallo stalinismo, ma da sinistra.

L’approdo è il PCI, il partito che più si è caratterizzato come partito del popolo, dell’unità popolare, che governa dall’opposizione.”

Download saggio di Franco Ferrari su Lucio Libertini:

Download “Lucio Libertini e la storia della sinistra italiana (di Franco Ferrari)” Lucio-Libertini-e-la-storia-della-sinistra-italiana.pdf – Scaricato 18056 volte – 159,30 KB